Covid: oltre 100mila morti. Italia tra le maglie nere al mondo

Guidano la classifica gli Stati Uniti (oltre 530mila vittime), seguiti da Brasile, Messico, India e Regno Unito

I Paesi con più vittime al mondo

I Paesi con più vittime al mondo

Oltre centomila vittime. Una soglia terribile, superata oggi 8 marzo, che pone l'Italia tra i peggiori Paesi al mondo per mortalità da Covid. Un lunghissimo elenco iniziato il 21 febbraio del 2020 con Adriano Trevisan, 77enne pensionato di Vo' Euganeo, prima vittima ufficiale del virus in Italia, e proseguito a ritmi forsennati, a parte i due mesi di "tregua" estiva quando i decessi erano poche unità al giorno. Il nostro Paese fa così parte del gruppo di Stati che hanno superato i centomila decessi: Stati Uniti capofila con 537mila morti, seguiti da Brasile (265mila), Messico (190mila), India (157mila) e Regno Unito (124mila). Ora c'è anche l'Italia. Prima per numeri assoluti nell'Unione Europea, con la Francia che segue (oltre 10mila morti in meno), e Spagna e Germania distaccate (30mila in meno). Ma oltre al dato assoluto, anche gli altri indici collocano l'Italia tra le maglie nere mondiali. 

Il tasso di letalità

Il Paese viaggia su un poco incoraggiante 3,25%, dato sicuramente influenzato dagli scarsi test eseguiti nella prima ondata, quando la letalità superava l'8%. In ogni caso è il dato peggiore in Europa, a parte Grecia (3,29), Ungheria (3,41) e Bulgaria (4,08). In Usa il tasso ad esempio è dell'1,81%. In Gran Bretagna, unico paese europeo con più morti dell'Italia, è del 2,95%. E i nostri vicini fanno tutti meglio: 2,86 la Germania, 2,26 la Spagna e 2,24 la Francia. Mentre l'indice più incontestabile, ossia il tasso di mortalità rispetto alla popolazione generale, vede la Gran Bretagna con numeri peggiori dei nostri: 1,827 morti per mille abitanti contro l'1,652 dell'Italia. Gli Usa sono a 1,618, il Brasile 1,243.

Le cause

Una situazione su cui gli esperti si interrogano da un anno, senza fornire ancora una spiegazione univoca: l'ipotesi più accreditata è che ci sia una serie di concause. L'aspetto demografico, che vede l'Italia tra i Paesi più anziani del mondo, il cataclisma della prima ondata, la grande differenza territoriale della stessa prima ondata, dove i tanti decessi erano concentrati al Nord, in Lombardia soprattutto, causando quasi subito la saturazione dei sistemi sanitari. Oggi però la situazione è diversa: secondo l'ultimo report dell'Istituto superiore della Sanità sulle caratteristiche dei pazienti deceduti, nella prima fase in Lombardia si contavano addirittura il 47,7% dei decessi totali. Percentuale scesa al 32,9% da giugno a settembre e al 18,6% in questa nuova fase, da ottobre 2020 al marzo 2021.

Le fasi

Proprio la scansione in fasi aiuta a capire cosa è successo: la prima ondata, da marzo a maggio 2020, ha provocato oltre 34mila vittime in tre mesi. E' stato il momento peggiore. Poi il periodo della "grande tregua", da giugno a settembre 2020, quando i morti sono stati 1.846. Per mesi, insomma, il tragico bilancio ha oscillato intorno alle 35mila vittime. Per poi ripartire rapidamente in autunno. A fine anno le 35mila vittime erano già raddoppiate, e da ottobre a marzo sono 60mila gli italiani morti. Il virus, insomma, continua a uccidere come prima. E l'identikit di chi non ce l'ha fatta è sempre tristemente simile: l'età media dei deceduti è di 81 anni. Il 60% delle vittime ha più di 80 anni, un altro 25% dai 70 ai 79 anni. Si conta poco più dell'1% delle vittime sotto i 50 anni e sotto i 40 si possono contare uno a uno: sono 254.