La scuola è già finita? Neppure per sogno

Non ha senso parlare di didattica a distanza, ma di continuità educativa. Il Ministero fornisca i mezzi per proseguire in una missione

Non tutti gli studenti hanno a disposizione i mezzi tecnologici necessari alle lezioni

Non tutti gli studenti hanno a disposizione i mezzi tecnologici necessari alle lezioni

Milano, 18 aprile 2020 - Da più parti si sente dire che la scuola è finita, che si ricomincia a settembre ma che ci sarà ancora la didattica a distanza. Come rispetteremo il distanziamento in aule piccole e classi pollaio? Questa frase - "la scuola è finita" - mi ha dato una coltellata al cuore e mi ha fatto pensare: beh, sino ad ora che cosa abbiamo fatto? Non abbiamo fatto scuola? E la didattica a distanza che cosa è? Infatti non penso sia un termine corretto: perché distanza? Non siamo vicini? I francesi infatti parlano di continuità educativa (mi viene in mente la guardia medica che fa continuità assistenziale quando non c’è il medico di famiglia), termine forse più appropriato. Ma la politica non sceglie bene i nomi: ai tempi parlò di alternanza scuola-lavoro facendo pensare che a scuola non si lavori e sul lavoro non si faccia scuola. Anche qui ci sono pregiudizi.

Torniamo al significato di scuola, perché è quello che dobbiamo condividere ed è quella scuola che dobbiamo garantire a tutte e tutti. Ritengo che solo partendo da questa idea di scuola poi possiamo definire come ricominciare a settembre. La scuola è una comunità in cammino, è luogo di co-creazione. Per dirla con un linguaggio matematico: quali sono gli assiomi su cui si fonda? Quelli che ci uniscono e a cui diamo fisionomie diverse a seconda delle varie caratteristiche peculiari e anche territoriali? Vorrei usare per questo le parole di un uomo di scuola, che stimo molto, il preside in pensione Raimondo Giunta: "La scuola che vorrei è quella che non lascia nessuno indietro e in cui gli alunni posseggano i saperi indispensabili per orientarsi nella vita e per inserirsi nel mondo del lavoro rispettando se stessi. Una scuola che tiene fede a queste finalità non abbassa il livello delle proprie esigenze, anzi; sceglie soltanto di non essere un luogo di discriminazione; di volere il successo di tutti e non quello di una minoranza. Gli alunni in difficoltà, come dice Meirieu, rendono un servizio immenso agli insegnanti e ai compagni, perché li rendono consapevoli dei problemi che bisogna affrontare per crescere e andare avanti.

Oggi diventa fondamentale esercitare i giovani a sapere utilizzare l’immenso capitale culturale parallelo ed esterno a quello della scuola; farli diventare capaci di discernimento e di selezione delle informazioni. L’educazione e l’istruzione sono diventate una sfida difficile, ma sono le uniche alternative alla stupidità e alla violenza, alla seduzione dei media e dei social che non danno conoscenza. Se si vuole il bene dei giovani, se si vuole sottrarli alla realtà virtuale, la scuola sia per loro l’incontro con le cose, le persone, le tradizioni e i valori del mondo circostante. Sia per loro l’incontro con la realtà. La scuola deve sviluppare e proteggere l’umanità che è in ognuno di noi e questo è possibile rendendo i giovani eredi consapevoli del patrimonio di conoscenze e di valori della società alla quale appartengono, spronandoli ad essere persone accoglienti, dialoganti, aperte alla comprensione e all’accettazione delle diversità. A molti ragazzi mancano la presenza, la guida e l’affettività della famiglia e in alcuni casi la scuola è l’unico luogo di riferimento. Bisogna preoccuparsi della formazione degli alunni, ma anche dei problemi della loro esistenza. Il mondo è talmente cambiato che i giovani devono reinventarsi tutto e non possono essere lasciati soli (M. Serres)".

Soprattutto oggi, nei giorni in cui il futuro è incerto e molti ragazzi e ragazze si sono dovuti già confrontare con la morte, la paura. Una scuola così deve essere garantita a tutti e a tutte e ci devono essere soluzioni “tecniche” diverse a seconda delle situazioni in cui la scuola agisce, lo si può fare rendendo gli studenti e le studentesse non semplici spettatori ma autori, capaci di progettare una scuola nuova. Perché, mi preme sottolineare, ci sono luoghi in cui la scuola è l’unico presidio oltr e che di legalità anche di speranza e di fiducia e quindi l’incontro in essa con i giovani è fondamentale. Pensare che ci possa essere una soluzione centrale valida per tutti è irrealistico. Penso che il ministero debba creare le condizioni adatte per fare scuola. Dobbiamo avere fiducia in questa grande comunità che è la scuola, di cui gli studenti fanno parte e possono – e devono – giocare sempre più un ruolo da protagonisti.

*Professoressa liceo scientifico Vittorio Veneto, Milano