Calcio malato, una mamma: "Volevano soldi per far giocare mio figlio, ho rifiutato"

La donna denuncia: "In campo senza meritocrazia, conta solo il portafogli dei genitori"

Calcio giovanile

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Milano, 17 gennaio 2018 - «Buongiorno... è lei che ha scritto l’inchiesta pubblicata da “Il Giorno“ in merito alle cifre da pagare per giocare al calcio? Avrei piacere di fare due chiacchiere sull’argomento. Sono una mamma di un ragazzo di 16 anni e ho vissuto di persona ciò che lei scrive. Anche di peggio...». Comincia così lo sfogo-denuncia di una giovane madre lombarda decisa a raccontare quanto marcio ci sia nel dorato mondo del pallone. A tutti i livelli. «Le chiedo l’anonimato per me e per mio figlio. Sa, io e mio marito abbiamo una grandissima paura di ripercussioni nei confronti del ragazzo». Non c’è problema, sappiamo chi è la nostra interlocutrice e abbiamo controllato anche il dignitoso curriculum del giovanotto . Un portiere più che promettente. «Quel che ho visto e sentito con i miei occhi è assurdo: posso capire che in una squadra ci siano 3-4 giocatori che abbiano sponsor o genitori disposti a pagare per vedere il figlio in campo, ma 20-21 su 24 come è successo a me.... Un gruppo di under 17 con genitori consenzienti che pagavano di tutto, dal premio formazione alle commissioni ai dirigenti...».

Passo indietro. «Mio figlio è un classe 2002, dopo un’esperienza in un club del centro-sud purtroppo fallito, lo scorso agosto è arrivato in una società del Friuli Venezia Giulia grazie al consiglio del suo ex allenatore. Quel club - racconta la mamma - doveva rifondare il settore giovanile per l’imminente promozione in serie C e mio figlio aveva un buon curriculum venendo da un quadriennio di squadre giovanili professionistiche. Poi era a costo zero, visto che la società precedente era fallita... Il giorno in cui il club organizza un campus a pagamento per selezionare altri giovani, mi si presenta un persona con la divisa sociale che dice di essere un collaboratore del responsabile del settore giovanile. È l’inizio dell’incubo: da allora quel signore comincia a chiamarmi e messaggiarmi, ripetendo che al momento della firma avrei dovuto versare pure 1000 euro a lui su Postepay e altri 4000 per le spese di convitto...».

Si ferma la signora, poi riprende col racconto. «Ero allibita, domandai a che titolo fossero dovuti quei soldi dicendogli che ne avrei parlato con la società. Lui rispose urlando...“il lavoro si paga!“. Ma quale lavoro, il curriculum mica era arrivato a lui.... Dissi comunque che avrei pagato al momento della firma ma subito dopo denunciai tutto al dg, l’unica persona disponibile. Ovviamente, chiamato al confronto, il diretto interessato negò tutto, e con lui il responsabile del settore giovanile, ma dopo la firma ho ricevuto telefonate e messaggi in cui il solito personaggio mi ricattava: “Se non paghi entro le 17 ti faccio strappare il tesseramento“. Io ero spaventata ma non volevo pagare. Le ripercussioni sono arrivate in seguito: mio figlio era candidato per una maglia da titolare ed invece è finito in panchina perché io non ero disposta a pagare. Ogni tanto mi telefonava chiedendomi dove fosse finito perché tra i compagni del convitto si parlava di cifre che partivano dai 5mila fino ai 30mila euro pagate dai genitori per farli giocare. Non solo. Il convitto in cui vivevano era sporco, il tutor assente, e spesso ai ragazzi non veniva neppure data la cena dopo la partita. Però tutti i mesi ci chiedevano soldi, anche se io avevo deciso di non pagare, perché come recita l’articolo 40 del Noif le società al fine di ottenere il tesseramento in deroga devono dimostrare di poter garantire ai giovani calciatori condizioni di vita ottimali per quel che riguarda vitto, alloggio, educazione scolastica... Sa qual era il pranzo? Un piccolo panino con una bottiglietta d’acqua»..

Il vaso era colmo, insomma. «A fine novembre non ci ho visto più e ho voluto capire. Sono andata sul posto, volevo parlare con i dirigenti che invece mi hanno mandata dal mister: “Suo figlio è un ragazzo senza talento“. Alle parole del sedicente allenatore mi è caduto il mondo addossso. Subito dopo mi ha contattato un procuratore , raccontandomi che non era il mister a fare la distinta, ma che i giocatori e il minutaggio erano decisi dall’alto in seguito ad accordi finanziari. Nello stesso momento l’agente mi ha offerto una serie C o una B pagando a lui la commissione di 5mila euro, ma ovviamente ho rifiutato. Da due giorni mio figlio è tornato in Lombardia, in una società seria. E’ felice, spero che dimentichi in fretta...».