Mariano, roghi in discarica: da vent'anni una bomba ecologica

Pronto a chiudere dopo i crolli di spazzatura l'impianto ha sempre riaperto per accogliere nuove tonnellate di rifiuti che servivano a stabilizzare le colline

Vigili del fuoco all'opera dopo l'ultimo rogo

Vigili del fuoco all'opera dopo l'ultimo rogo

Mariano Comense (Como), 28 marzo 2019 - Che gli ultimi roghi siano dichiarati dolosi o meno poco importa a chi convive con la discarica di Mariano Comense: è da vent’anni che l’impianto di Cascina Settuzzi rappresenta una bomba ecologica pronta a scoppiare. Nata del 1983 doveva essere chiusa intorno al 2000, ma crolli e incidenti ne hanno allungato la vita fino al drammatico epilogo di questi giorni, con la nube nera che si è levata ancora una volta dall’impianto dopo il terzo incendio. Nel mezzo ci sono state le proteste e la forte preoccupazione dei residenti per una spada di Damocle che pende su coloro che vivono lungo la rete idrica che si raccoglie  nella valle del Seveso. Dal 1992 e per dieci anni, furono riversate un milione e 200mila tonnellate di spazzatura ma con la decomposizione dei rifiuti accumulati la sommità della collina si abbassò creando pericolosi avvallamenti che si riempivano di percolato.

Nel 2002 venne riaperta per conferire altre 240mila tonnellate di rifiuti inerti, utilizzati per “risagomare” le colline. Dopo i crolli, insomma, venivano immessi altri veleni per stabilizzare i rifiuti  mentre l’amministrazione comunale di allora parlava apertamente (attraverso l’assessore Domenico Fratta) di “pericolose infiltrazioni d’acqua nel sottosuolo zeppo di rifiuti”. Ci fu la battaglia, poi persa, contro l’arrivo di 62mila tonnellate di ecoballe provenienti dal Trentino, quando la discarica doveva già essere chiusa definitivamente da anni. Nel frattempo la situazione per i residenti di via Radizzone era già diventata insopportabile con i cittadini che per sfuggire ai tremendi miasmi che facevano bruciare la gola erano costretti a tenere  le finestre chiuse anche in estate. Nonostante disagi, pericoli e timori nel 2004 arrivò un nuovo via libera per il deposito di altri 277mila metri cubi di rifiuti. I cancelli dell’impianto chiusero nuovamente nel giugno del 2005 ma nel 2006 dalle Regione arrivò il via libera alla riapertura per depositare 250mila tonnellate di terra, sassi, detriti e macerie dell’edilizia.

«Una scelta obbligata», commentò l’allora sindaco Alessandro Turati. Gli introiti dello smaltimento dei rifiuti inerti permettevano infatti di coprire i costi per la messa in sicurezza della discarica. Insomma più rifiuti per pagare i danni della spazzatura che crolla. Per anni si è andata avanti così. Nel 2013 sembrava che l’impianto fosse nuovamente pronto alla chiusura definitiva ma ecco che il conferimento di altre 71mila tonnellate di immondizia regalò alla discarica una “nuova vita”. Per sistemare i cedimenti strutturali del versante Nord Ovest vennero utilizzate altre tonnellate di spazzatura e  nelle casse del comune arrivarono  950mila euro. Dal 2014, anno in cui fu annunciata l’ennesima chiusura,  ci furono le nuove proteste per i pesanti miasmi e la scoperta che i rifiuti non venivano stoccati secondo le regole. Nel maggio del 2015 poi  partirono gli incendi che si sono ripetuti nel 2018 e ancora nei giorni scorsi.