Como, morto dopo aver maneggiato amianto: l'azienda dovrà risarcire la famiglia

Mezzo milione a parenti di un operaio morto a 48 anni, un anno dopo la diagnosi di mesotelioma pleurico. E' stato dimostrato che la sua esposizione al contatto con le fibre di amianto era durata solo un paio di mesI

Amianto

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Como, 12 dicembre 2017 - La malattia si era manifestata vent’anni dopo essere entrato a contatto con le fibre d’amianto, ma era stata letale. L’operaio, ex dipendente dell’impresa Belluschi di Como, era morto nel novembre 2011 a 48 anni, un anno dopo la diagnosi di mesotelioma pleurico. Ora il giudice del lavoro Barbara Cao, ha condannato l’impresa a risarcire gli eredi, moglie e figlia, per un importo di 517mila euro, stabilendo il nesso di causalità con la professione svolta dall’uomo, e la responsabilità dell’impresa. Allo stesso tempo, ha stabilito l’obbligo di risarcimento a carico del responsabile civile, la Unipol Sai. A fare causa sono stati gli stessi familiari, assistiti dall’Ufficio Vertenze e Legale della Cisl di Como. Il rapporto di lavoro dell’operaio con la Belluschi, impresa che si occupa di verniciature e rivestimenti murali, ora passata a una diversa gestione per successione ereditaria, era durato vent’anni, dal 1978 al ’98. Tuttavia durante l’istruttoria civile, è stato dimostrato che la sua esposizione al contatto con le fibre di amianto era durata solo un paio di mesi, nell’estate del ‘98.

L'azienda aveva preso in carico una serie di lavori di rimozione di amianto in edifici pubblici comunali, tra cui la piscina Sinigaglia e alcune scuole, oltre a interventi presso privati. Gli operai avevano in dotazione mascherine e tute, e il piano del Comune aveva previsto zone di decontaminazione. Tuttavia il Tribunale ha dedotto la carenza – per mancanza di dimostrazione - di adeguata formazione e informazione ai lavoratori, e in particolare sull’uso degli accorgimenti per limitare la contaminazione da parte delle fibre, ma anche della comunicazione ai dipendenti delle modalità con cui effettuare l’esecuzione delle opere e delle lavorazioni pericolose. Inoltre il giudice ha rilevato la mancanza di una prova della sorveglianza da parte del datore di lavoro, per accertarsi che gli obblighi di protezione e sicurezza venissero effettivamente utilizzati. Secondo i consulenti interpellati dal Tribunale, non esiste un limite minimo di esposizione che tutela dall’insorgere della malattia, anche a molti anni di distanza, e le possibilità di contaminazione si legano alla presenza di uno o più precisi fattori: presenza di condizioni di rischio, assenza di misure di prevenzione ambientale e assenza delle misure di sorveglianza sanitaria.