Bimba uccisa a Cabiate, la confessione dell'assassino: "Non ero drogato"

Gabriel Robert Marincat ha confessato le botte e la violenza sessuale sulla piccola Sharon, che aveva solo un anno e mezzo

Gabriel Robert Marincat

Gabriel Robert Marincat

Cabiate (Como), 20 maggio 2021 -  In due ore di interrogatorio reso al sostituto procuratore di Como Antonia Pavan, ha cambiato versione, confessato un omicidio e una violenza sessuale di una bambina di un anno e mezzo. Ha raccontato la sua infanzia e mostrato le cicatrici delle ferite che gli ha lasciato suo padre, un violento che lo avrebbe educato alla violenza, che ha vissuto di criminalità e che sarebbe tuttora latitante. Ma Gabriel Robert Marincat, il venticinquenne romeno in carcere da fine gennaio, ha mantenuto sempre un atteggiamento quasi distaccato, freddo. Come incapace di provare emozioni o timori, anche per se stesso, destinato ad andare incontro a un processo davanti alla Corte d’Assise, e a una condanna, che potrebbe valergli anche l’ergastolo.

Dalle indagini, è emersa una forma di tossicodipendenza per la quale, ora che è detenuto, è seguito dal Sert, ma lui ha negato di aver fatto uso di droga il giorno dell’omicidio di Sharon Barni, il pomeriggio dell’11 gennaio, o di essere in crisi di astinenza. "Ero nervoso" si è limitato a dire, quando aveva terminato di raccontare di aver picchiato la bimba per almeno un’ora e mezza, a più riprese, senza dare una spiegazione della sua condotta. Lo stesso atteggiamento che ha mantenuto nell’ammettere l’abuso sessuale della piccola, che ora è diventato un reato a se stante: non più omicidio aggravato dalla violenza sessuale, ma due imputazioni distinte.

A fronte di una custodia cautelare eseguita il 23 gennaio, e della confessione, Marincat entro i sei mesi dall’esecuzione della misura, e quindi entro il 23 luglio, potrebbe andare incontro a una richiesta di processo con giudizio immediato. Nelle indagini sulla morte di Sharon, l’esito dell’autopsia rimane un elemento centrale e fondamentale, poi integrato dagli accertamenti svolti dai carabinieri della Tenenza di Mariano Comense, e dalla stessa polizia giudiziaria del magistrato titolare delle indagini: quando i primissimi esiti dell’esame autoptico hanno iniziato a rivelare lesioni non compatibili con la caduta della stufetta elettrica, carabinieri e polizia giudiziaria hanno lavorato per integrare quei riscontri, fino a costruire l’impianto indiziario che lo ha condotto in carcere.