
La dedica del Vate a Ferretti
Gardone Riviera (Brescia), 29 ottobre 2018 - I nonni fornaciai e il Vate che non li ha mai pagati. Eppure son lì quei mattoni marchiati Ferretti, a tenere ancora in piedi il Vittoriale degli Italiani. Un complesso di edifici, vie, piazze, un teatro all’aperto, giardini e corsi d’acqua, costruito tra il 1921 e il 1938 a Gardone Riviera, sulla sponda bresciana del lago di Garda, per volere di Gabriele D’Annunzio su progetto dell’architetto Giancarlo Maroni, a memoria della sua “vita inimitabile”.
In realtà un monumento innalzato all’arte e a se stesso dal poeta-soldato. Poi donato allo Stato. Ma quanti debiti ha lasciato in giro D’Annunzio. A cominciare proprio da quei mattoni che «mio nonno Cesare realizzò nelle fornaci di famiglia a Gavardo», racconta il nipote Cesare Ferretti, commercialista milanese. I suoi avi venivano dalla Svizzera. Per sei mesi si trasferivano in provincia di Brescia dove avevano il terreno da scavare per fare i mattoni. Finché decisero di rimanerci. E «quando arrivò la commessa da D’Annunzio, che era molto impegnativa, il nonno trascurò tutti gli altri lavori – continua il nipote –. All’inizio pagava, poi, però ha smesso. E lo ha regalato agli italiani». Del resto, la fama del Vate, nella sua vita tra piacere e lussuria, era quella. Avaro. Lui, diceva, ripagava i creditori con la sua stessa presenza, con il suo poetare, con la sua intelligenza.
«Mio nonno venne pagato con una foto e una dedica nel marzo del 1929»: “A Cesare Ferretti, mastro di mattoni più duri e duraturi di quelli che cingevano Babilonia”. Firmato da un “umile fabbricante di mattoni in forma di libri”. Due frasi al posto di migliaia e migliaia di lire. «Nonno ha preso una bella bastonata – ci ripensa Ferretti –. Eppure anche mio papà, suo figlio, non ha protestato nonostante D’Annunzio li avesse messi in grave difficoltà. Ma mio nonno ha comunque aiutato tante persone, i dipendenti li ha sempre pagati, e quando ha chiuso, ha rimborsato al 100% le banche, sacrificando se stesso e le sue proprietà. Papà diceva che lo Stato, quando ha ricevuto in dono il Vittoriale, avrebbe dovuto coprire anche i debiti lasciati da D’Annunzio». Al nipote Cesare, però, non è mai andata giù. E al Vittoriale ormai sono anni che non ci va. «Ci andavo spesso da bambino, quando c’era il trenino Decauville che andava avanti e indietro a portare l’argilla per fare i mattoni».
Ricordi che riaffiorano. Come quando scappò fuori dall’aula al Collegio dei Francescani appena il maestro introdusse una lezione proprio su D’Annunzio: «Io e un mio compagno che di cognome faceva Papa, ci alzammo senza esserci messi d’accordo e uscimmo dalla classe – ricostruire Cesare –. Una volta in corridoio gli chiesi il motivo e lui mi disse che suo nonno faceva il sarto e non venne mai pagato da D’Annunzio per gli abiti di elevata fattura realizzati su misura». Un sorriso perché «la vita va avanti». Oggi la fornaci Ferretti è rimasta nelle mani dei cugini di Cesare. Ma la firma, sui mattoni, è sempre quella. Allora i mattoni fatti a mano venivano marchiati. «Una delle ultime volte che sono andato al Vittoriale (che oggi è una fondazione aperta al pubblico e visitata ogni anno da circa 210.000 persone, ndr) – l’aneddoto di Cesare – all’ingresso mi hanno chiesto di pagare il biglietto. Allora io ho preso la signorina sotto braccio, l’ho accompagnata a farle vedere il particolare di un mattone e le ho spiegato che tutti portavano il mio cognome. Li ha fatti mio nonno e non è mai stato pagato. Scherzosamente le ho detto “Ora non vorrete far pagare me”».