Brescia, violentata e segregata per anni dalla famiglia

Vittima una giovane pakistana. Inizia il processo nei confronti del fratello, il padre sarà invece giudicato in abbreviato

La storia della giovane pakistana ricorda il dramma di Hina Saleem

La storia della giovane pakistana ricorda il dramma di Hina Saleem

Brescia, 16 settembre 2020 - Violentata per anni dal fratello maggiore, picchiata dal padre, vessata e segregata in quanto donna, dunque qualsiasi uscita da casa per lei non era contemplata al di fuori della scuola. Si parla di una giovane pakistana, salvata dal suo destino terribile grazie al sostegno della Casa delle donne, cui la ragazza si rivolse nel 2018, ventenne, all’apice della disperazione. Oggi Fatima – nome di fantasia – vive in una casa protetta fuori regione. Si è diplomata, studia all’università e ha denunciato i familiari, per cui è iniziato il processo. La sua storia ricorda il dramma di Hina Saleem, coetanea del Pakistan ammazzata nell’estate 2006 a Sarezzo dal padre e poi seppellita nell’orto con l’aiuto dei generi e dello zio per essersi ribellata ai diktat della cultura retrograda.

Ieri è iniziato il dibattimento per il fratello 27enne della donna, imputato di violenza sessuale aggravata (il genitore, accusato di maltrattamenti, sarà invece giudicato in abbreviato). Nel corso di un’audizione protetta durata quasi tre ore, Fatima ha raccontato al presidente Roberto Spanò, ai giudici della prima sezione penale e al pm Antonio Bassolino il suo passato, costellato di abusi, botte e angherie. Arrivata in Italia negli anni 2000 con la famiglia, che si stabilì a Tavernole sul Mella, a soli 8 anni sarebbe stata iniziata al sesso dal fratello più grande, il quale l’avrebbe costretta a guardare cartoni animati e video porno e ad avere rapporti completi (fatti per cui c’è un processo parallelo anche al Tribunale dei minorenni), due-tre volte a settimana.

Solo in terza media, durante un corso di educazione sessuale, Fatima iniziò a prendere consapevolezza del contesto morboso nel quale era calata e reclusa. Non poteva uscire da sola, se non per andare a scuola, né confrontarsi con gli amici né vivere come le coetanee bresciane. Men che meno poteva contare sulla madre, assoggettata al padre e avulsa dalla realtà circostante tanto da non conoscere una parola di italiano. Ci volle molto prima che la ragazza, desiderosa di integrazione, maturasse la forza di chiedere aiuto. La goccia che fece traboccare il vaso si presentò nel 2018, quando scoprì che i genitori avevano combinato per lei un matrimonio con un parente in Pakistan. All’idea di nozze già scritte, per giunta nel Paese d’origine, fuggì alla Casa delle donne. La sua nuova casa. Dove ha iniziato a vivere.