Brescia, gli ucraini in fuga dalla guerra: luci abbassate sull’emergenza

Gli arrivi da Kiev non si sono mai fermati: l’onda d’urto retta solo grazie alla rete dell’accoglienza. Manca un supporto strutturale da parte dello Stato, sia economico sia per i servizi psicologici

Nonostante il conflitto, alcuni nuclei hanno fatto ritorno nel proprio Paese

Nonostante il conflitto, alcuni nuclei hanno fatto ritorno nel proprio Paese

Brescia - Non ci sono più i grandi flussi registrati nelle prime settimane dopo l’invasione da parte della Russia, ma gli arrivi dall’Ucraina non si sono mai fermati e continuano tuttora a interessare migliaia di famiglie lombarde. Se c’è una costante nel complesso fenomeno di arrivi dall’Ucraina, è proprio il ruolo delle famiglie nell’accoglienza, che ha permesso di reggere l’onda d’urto dei grandi numeri, ma che di fatto non ha avuto (e continua a non avere) un supporto strutturale dallo Stato, in termini economici o di servizi psicologici.

I dati: secondo il monitoraggio del Dipartimento di Protezione civile, basato sui numeri del Viminale, dal 29 aprile al 9 dicembre si contano 29.618 ucraini con protezione temporanea, di cui la maggior parte (7.489) nel Milanese, seguito da Brescia (4.970) e Bergamo (3.296). Il dato, però, non è esaustivo di tutti gli arrivi effettivi in regione, visto che all’assessorato alla Protezione civile risultano 40mila profughi da inizio emergenza in tutta la regione (dato aggiornato a novembre). Il gap può essere spiegato sia dai tempi che passano tra l’arrivo, la richiesta e il rilascio della protezione temporanea, sia dal fatto che non tutti l’abbiano richiesta (c’è chi è tornato a casa nel frattempo). Di certo il documento è requisito necessario per ottenere il sostegno economico (unico) previsto dallo Stato: 300 euro per 3 mesi (più 150 euro per i minori).

Fino al 12 dicembre in Lombardia lo hanno ricevuto 22.781 ucraini: il numero più elevato è sempre nel Milanese (6.234), seguito da Bergamo (2.959) e Brescia (2.414). Considerando, però, che la maggior parte ha trovato sistemazione presso parenti o amici e che solo una piccola parte è rientrata nel sistema di accoglienza ordinario, c’è da registrare il grosso impegno economico delle famiglie che hanno aperte le loro case, senza avere un riconoscimento strutturale (al netto del supporto attivato da enti locali, associazioni, terzo settore).

Ma a dieci mesi dall’invasione, non c’è più solo il tema economico. "Questo perdurare della guerra sta affaticando molte delle persone che stiamo accogliendo. La situazione economica, in un certo senso, migliora, perché molti hanno trovato un’occupazione per rendersi autonomi, ma c’è un affaticamento sul fronte psicologico rispetto a una situazione che speravano si risolvesse più rapidamente", spiega Maddalena Alberti, direttrice di Adl a Zavidovici, realtà del terzo settore che si occupa di accoglienza e che in questi mesi ha messo a disposizione personale a supporto di Prefettura e Questura di Brescia per l’emergenza Ucraina.