
Quattro mesi al caldaista che installò un boiler non a norma in una casa a piano terra. Dall’irregolarità conseguì la...
Quattro mesi al caldaista che installò un boiler non a norma in una casa a piano terra. Dall’irregolarità conseguì la fuoriuscita del monossido che invase anche l’appartamento al piano superiore, uccidendo l’ignaro inquilino. Si è concluso così ieri il processo per la morte di Bruno Delbon, 93 anni, che l’8 aprile 2019 fu stroncato dal gas che aveva saturato il suo appartamento in un condominio in via Tagliamento. Le indagini accertarono che il monossido proveniva da un boiler malfunzionante a piano terra, dove in quel frangente non c’era nessuno, e che si era diffuso attraverso una canna fumaria collegata alle cappe delle cucine del palazzo. Quella canna al secondo piano era stata deviata illecitamente a 90 gradi e l’angolo era stato ostruito da due carcasse di piccioni intrappolati. Cinque persone hanno affrontato il processo per omicidio colposo: la proprietaria della casa a piano terra, i proprietari della casa al secondo, l’idraulico-caldaista e un architetto che nel 1993 si era occupato di una ristrutturazione.
Al termine del dibattimento la pm Lisa Saccaro aveva chiesto la condanna (a 8 mesi) solo per il caldaista. Risalire a chi fece quella deviazione - la canna fumaria per legge deve essere dritta - si è rivelato un problema: i proprietari dell’appartamento al secondo piano non eseguirono i lavori ma se ne occuparano gli inquilini che subentrarono e la curva che provocò un tappo per il gas non è attribuibile senza dubbio all’architetto, la cui ristrutturazione non riguardò la parete in cui era collocata la canna. La proprietaria della casa a piano terra si affidò per il montaggio dello scaldabagno a un professionista. Per il pm la responsabilità risultava provata solo per l’installatore del boiler, allacciato alle cappe in violazione delle norme. Il giudice le ha dato ragione.