Compressi tra il lavoro quotidiano, fatto anche e soprattutto di incombenze burocratiche non di poco conto e la straordinarietà della catena di proteste e occupazioni studentesche, che nelle ultime settimane, a Milano, sono diventate la priorità. Una situazione complessa quella che stanno vivendo i dirigenti scolastici dall’altro lato della barricata, sospesi tra la necessità di dover mandare avanti la scuola e quella della gestione non sempre serena dei rapporti con gli studenti occupanti e in protesta. Le vicende del capoluogo lombardo sono all’attenzione anche dei colleghi delle altre province, dove di occupazioni non se ne vedono da anni, come quella bresciana. L’onda lunga delle proteste studentesche potrebbe arrivar anche qui? Difficile dirlo, ma il terreno non sembra molto fertile perché attecchiscano forme di protesta così forti: la questione palestinese ha portato un po’ di studenti a scendere in piazza, ma con una presa minore rispetto a quanto era accaduto con i cambiamenti climatici, ultimo grande tema a portare per strada migliaia di studenti, insieme anche ai docenti.
Negli ultimi anni a memoria si ricorda qualche occupazione qua e là per problemi strutturali all’interno degli edifici, ma nessuna verve a creare mobilitazioni collettive forti. Segno di scarsa partecipazione e interesse alla vita politica e sociale? "Assolutamente no – commenta Ersilia Conte, dirigente dell’Istituto d’istruzione superiore Primo Levi di Sarezzo, dal 1993 nel mondo della scuola -. I ragazzi sono molto aperti al dialogo, sono interessati a ciò che accade intorno a loro e tra di loro e hanno bisogno di confrontarsi. Dalla mia esperienza ho imparato che esser disponibili e capaci di dialogo abbatte ogni muro: non ci vedono come nemici se siamo capaci di questa apertura". Dalla profonda provincia bresciana, come tanti suoi colleghi, anche Conte segue quello che sta accadendo nel capoluogo lombardo. C’è anche un tema di politicizzazione dei movimenti studenteschi, che, nella provincia, non ha molto presa. "Io ho vissuto i tempi della Pantera, non era bello, c’era un senso di pericolo e non si sapeva quale fosse l’obiettivo di quel movimento, perché era per lo più un voler far disordine. Ho letto di colleghi che dormono in istituto, di scuole danneggiate per 70mila euro. Non è certamente un bel clima".
Se il dialogo è la chiave vincente, non è sempre facile però portare avanti progetti e interventi extra curriculari, visto il carico di lavoro e incombenze che gravano su scuola e docenti. "Però è fondamentale, non ci si può esimere. Riuscire a discutere, portando in classe anche esperti di certe tematiche, è la strada per render partecipi gli studenti, lavorando in modo democratico. Io credo che se l’occupazione non è fine a se stessa, questa è la strada giusta. La differenza, secondo me, la fa l’adulto: noi abbiamo tanti docenti giovani che sono attenti a questi aspetti non secondari. Poi ci possono essere tutte le difficoltà sullo studio, che abbiamo anche nel nostro istituto, ma il clima è sereno". Sulla stessa lunghezza d’onda Antonella Greco, presidente dell’Associazione nazionale presidi di Brescia. "La situazione è esplosa in alcune scuole del Milanese – spiega – per cui seguiamo le vicende con molta attenzione, anche se la contestazione sembra essere anche un po’ strumentalizzata.
A Brescia da anni non si verificano più episodi simili. Abbiamo un organo di partecipazione degli studenti, la Consulta provinciale, all’interno della quale vengono affrontati i problemi che emergono. In molte scuole funziona anche la co-gestione, che tende a responsabilizzare i ragazzi. Non siamo Milano, ma siamo comunque una provincia grande e complessa, e, per ora, questo metodo sta funzionando".