Brescia, bruciò la moglie: "Ferocia inaudita"

Le motivazioni della Corte d’assise che ha inflitto l’ergastolo al marocchino Abderrahim Senbel

Il tribunale di Brescia

Il tribunale di Brescia

Brescia - «Si è in presenza di una ricostruzione storica affidabile, fondata sul coerente intreccio tra quanto dichiarato dalla stessa persona offesa nell’immediatezza del fatto e il contributo conoscitivo versato in udienza dai testi, cui devono aggiungersi il solido puntello della consulenza medico legale e le dichiarazioni a dir poco autolesionistiche dll’imputato". Così scrive il presidente della Corte d’Assise Roberto Spanò nelle 20 pagine di motivazioni della condanna all’ergastolo inflitto lo scorso 21 giugno ad Abderrahim Senbel, il 55enne del Marocco accusato di avere ucciso, bruciandola viva la moglie, Mina Safine, connazionale con dieci anni di meno, nella loro casa di via Tiboni a Brescia.

Era il 20 settembre 2020. L’uomo si è sempre detto innocente, sostenendo che fosse stata la moglie a darsi fuoco in preda alla depressione, e che mentre ardeva l’aveva stretto in un lungo abbraccio dalle intenzioni mortali. "Dalla consulenza... è emerso che l’ustione più acuta si trovava sotto il mento della vittima, a dimostrazione che il fuoco aveva avuto origine nella parte anteriore alta del volto". "L’unico punto della cute risultato integro era quello dei solchi sottomammari e dei cavi ascellari, il che consente di affermare che la vittima al momento del fatto non aveva, con intento autolesionistico, proiettato il braccio in direzione della parte superiore del corpo onde innescare ella stessa la fiamma".

E ancora: "Vi è inoltre un particolare che, anche ove considerato autonomamente, costituisce una vera e propria pietra tombale sulle sorti del processo. L’imputato ha infatti asserito che Mina, dopo essersi data fuoco, aveva appoggiato sopra la lavatrice...l’accendino con cui aveva innescato la fiamma. A suo dire non si trattava dell’accendigas fucsia rinvenuto dagli inquirenti ma di un accendino dalla dimensioni ridotte, tipo Bic, che si trovava in una ciotola in prossimità dei fornelli. Si tratta di due strumenti differenti: il primo permette all’agente di tenere a distanza la mano e il gas, impedendo in tal modo di ustionarsi. È evidente che Senbel nel cercare di accreditare la tesi del gesto autolesionistico abbia fatto riferimento allo strumento più funzionale allo scopo, ma a quel punto, non sapendo spiegare perché sulla lavatrice fosse stato trovato l’accendino fucsia ha evocato l’eventualità di un inquinamento probatorio da parte di fantomatici soggetti, sollecitando la Corte a disporre indagini".