
Studenti universitari
Durante gli studi in medicina all’Università di Brescia, non aveva mai presentato neanche una candidatura per il progetto Erasmus. Poi, tramite passaparola, è arrivata la possibilità di candidarsi per un tirocinio in un istituto psichiatrico in Svizzera. "Era un momento in cui mi stavo interessando alla psichiatria e ho avuto modo di bere un caffè con un medico che stava facendo recruiting", racconta Davide Zani, 27enne bresciano, specializzando in psichiatria e psicoterapia nel Cantone dei Grigioni. Un tirocinio di due mesi, fatto tra il quinto e sesto anno di università, è bastato all’istituto a proporre a Zani un contratto per il rientro: presa la laurea a Brescia nell’aprile 2021, a maggio era già in corsia. "In Italia avrei perso almeno 3 mesi, tra concorso e risposta, senza aver la certezza sulla struttura di destinazione, per cui ho scelto di avere subito un’assunzione con un contratto di lavoro dopo un periodo di prova di 3 mesi".
Secondo l’Istat, nel 2021 sono stati 5.258 i laureati lombardi che hanno cancellato la residenza per trasferirla all’estero, di cui 3.663 nella fascia d’età 25-39 anni; nel 2011 erano stati 1.963, di cui 1.206 tra i 25 e i 39 anni. La retribuzione (più alta all’estero) non basta da sola a spiegare questa fuga costante: i giovani cercano soprattutto opportunità, che un sistema spesso molto rigido come quello italiano non offre.
"Per quanto mi riguarda, la scelta di trasferirmi non ha a che fare con motivi economici. Il vero motore è stato confrontarmi con il metodo di formazione e lavoro che c’è in Svizzera". Diversa anche la qualità delle ore di lavoro: si lavora molto, ma con regole precise su guardie e riposi, che in Italia spesso saltano per la carenza di personale. Ma soprattutto sono diverse le opportunità.
"Non è semplice stare all’estero, c’è uno choc culturale e non mancano le battute verso gli italiani sul riposino pomeridiano o sulla scarsa voglia di lavorare. Un paio di colleghi sono andati via anche perché lo stile di vita è obiettivamente diverso. Mi piacerebbe tornare in Italia, ma vedo difficile avere le stesse possibilità offerte qui. Ho una struttura che mi supporta nella carriera scientifica, tanto che mi sta sostenendo nella candidatura ad un dottorato di ricerca. Queste proposte non mi sarebbero capitate in così breve tempo in Italia. Ho vissuto sulla mia pelle o sulla pelle di colleghi ‘pause’ di carriera, perché troppo giovane, perché c’è qualcun altro prima o perché bisogna ‘abbassare la cresta’. Sono queste le differenze grandi che mi hanno spinto a partire".
Con la carenza di personale che è trasversale in tutti i settori a livello europeo, il rischio è che sempre più giovani vadano via. "Il livello di formazione delle nostre università è alto – spiega Mattia Rebessi, coordinatore Studenti per Udu Brescia – ma il problema è che non c’è un sistema in uscita che consenta a un laureato di crearsi una carriera. Gli stipendi sono fermi da vent’anni, per i nuovi ingressi sono addirittura diminuiti". Per chi studia giurisprudenza, ad esempio, il tirocinio è a titolo gratuito. Poi c’è la questione della qualità del lavoro. "Quando hai giornate lunghe, retribuzioni basse, è chiaro che nessuno vuol far più quel lavoro. Pensiamo a cosa accade per i medici di emergenza urgenza, che non si trovano. E poi c’è tutto il tema del welfare, che manca o è carente, penalizzando in generale le donne, ma anche tutti coloro che vogliono avere una famiglia". Le rigidità del sistema (ad esempio, chi si accorge di voler cambiare specialità in medicina deve cominciare tutto da capo) mettono pressione e rendono complicato il sistema, spingendo chi può ad andarsene. "C’è un problema di sistema – conclude Rebessi – non si sta investendo sulla crescita del Paese".