Brescia, diede fuoco alla moglie: condannato all’ergastolo

Per i giudici fu Abderrain Senbel a uccidere Mina Safine. La difesa resta convinta del’innocenza dell’uomo: "Fu un suicidio"

La palazzina di via tiboni a drago nella, Mina Safine deceduta bruciata dal marito Abderra

La palazzina di via tiboni a drago nella, Mina Safine deceduta bruciata dal marito Abderra

Brescia -  Ergastolo . Condanna massima inflitta ieri in assise ad Abderrain Senbel, il 55enne del Marocco a processo con l’accusa di avere ucciso, dandole fuoco, la moglie, Mina Safine, connazionale con dieci anni di meno, nella loro casa di via Tiboni a Brescia. Era il 20 settembre 2020. Addetto alle pulizie in un albergo lui, badante lei, marito e moglie di quella sera hanno dato versioni contrapposte. "Mio marito mi ha bruciato, chiamate l’ambulanza", la chiamata della donna al 112 alle 22.14. "Si è data fuoco da sola perché era depressa", la tesi di lui. Tre settimane dopo, con il 90% di ustioni sul corpo, la 45enne è morta in ospedale. Per il pm Caty Bressanelli, a suffragare la colpevolezza dell’imputato "oltre ogni ragionevole dubbio" ci sono elementi "oggettivi". "La consulenza ha accertato che quando Mina è stata attinta dalle fiamme era in piedi e non aveva alzato le braccia. Impossibile che si sia versata l’alcol addosso e che si sia data fuoco da sola. E non è vero che mentre era in fiamme ha abbracciato il marito: se così fosse andata, le bruciature trovate sul corpo dell’imputato sarebbero state diverse".

E ancora , per l’accusa la versione di Senbel "non è credibile". "Sono emerse troppe difformità. Una eclatante: perché solo in aula l’uomo ha detto che l’accendino utilizzato dalla moglie per darsi fuoco non era quello che noi abbiamo fatto analizzare dal Ris ma un altro? Un accendino che fu rinvenuto sulla lavatrice. Non regge che una persona che arde viva si preoccupi di mettere al suo posto l’accendino". Non solo: "Mina viveva un matrimonio infelice, soffriva per non avere figli e per le difficoltà economiche. Ma non aveva dato segni di intenzioni autolesive". Al contrario per l’avvocato Luigi Farriello, che assiste l’imputato - seduto accanto a lui, capo sempre chino - Senbel è innocente.

"Manca la prova regina: non ci sono tracce sulla presunta arma utilizzata, l’accendino. Se davvero avesse dato fuoco lui alla moglie versandole addosso alcol, durante l’azione lei avrebbe cercato di scappare. Eppure l’alcol era solo in cucina. Lei avrebbe alzato i palmi della mani per proteggersi, ma non è stato così, perché l’interno delle mani è stato risparmiato dal fuoco. Dopo i fatti Senbel è corso sul balcone per chiedere aiuto. E nessun assassino avrebbe permesso alla vittima di prendere il telefono e chiamare parenti, amici e soccorritori. Senza tener conto che nella prima telefonata di Mina all’amica lei le dice di essersi bruciata. La verità è che la parte offesa incolpava il marito della sua infelicità e solitudine. Si è suicidata e ha dato la colpa al consorte per liberare la famiglia dell’onta del gesto estremo, per l’Islam intollerabile".