Lo studio: Covid più mortale con lo smog

Il lavoro dell’ateneo bresciano: " Gli inquinanti accrescono il recettore di Sars-Cov2 aumentando il rischio di sviluppare una malattia severa"

Una persona tra le auto

Una persona tra le auto

Brescia , 4 febbraio 2021 - «L’esposizione a PM (polveri sottili, ndr ) è significativamente associato all’incidenza di Covid-19 e all’eccesso di mortalità durante la prima ondata che colpito la Lombardia". Lo scrive il team dell’Università degli studi di Brescia nello studio "COVID-19 incidence and mortality in Lombardy, Italy: an ecological study on the role of air pollution, meteorological factors, demographic and socioeconomic variables", pubblicato a gennaio sulla rivista Environmental Research. A firmare la ricerca sono stati Elena de Angelis, Stefano Renzetti, Marialuisa Volta, Francesco Donato, Stefano Calza (professore anche presso la Karolinska Institutet di Stoccolma), Donatella Placidi4, Roberto Lucchini (docente anche alla Florida International University). L’analisi statistica ha puntato ad individuare l’associazione tra variabili demografiche, socioeconomiche, di comunità, metereologiche e di concentrazioni di inquinanti atmosferici (Pm10, Pm2,5 e NO2) rispetto all’incidenza di Covid-19 dal 20 febbraio al 16 aprile 2020 e l’eccesso di mortalità dall’1 marzo al 30 aprile fra Brescia, Bergamo, Lodi, Cremona.

Per quanto riguarda l’aspetto ambientale, "abbiamo trovato che un aumento di 10 µg/m3 di concentrazioni di Pm2.5 e Pm10 sono associate con una crescita del 58% e 34% nell’incidenza di Covid-19". È stato inoltre osservato un aumento del 23% della mortalità generale a fronte dell’aumento di 10 µg/m3 dei livelli di PM2.5. I ricercatori spiegano che l’ipotesi che il particolato possa accrescere il rischio di contrarre la malattia di Covid, la gravità e letalità "è biologicamente plausibile". Citando diversi studi al riguardo, ricordano che è nota l’associazione tra l’esposizione a polveri sottili e le infezioni del tratto respiratorio, nonché che la causalità rispetto a infiammazioni croniche fino agli effetti sul sistema immunitario, che "rendono le persone più suscettibili all’infezione". Inoltre, gli inquinanti dell’aria possono accrescere l’enzima ACE 2, recettore di SARS-Cov2, "aumentando così il rischio di sviluppare una forma severa di Covid19". La ricerca ha anche il merito di aver indagato diversi altri fattori, come, appunto quelli socio-economici, ma anche la presenza di attività ricreative nei Comuni, nonché Rsa, ristoranti, sistemi di mobilità. È risultato così che dove ci sono più occasioni di aggregazione, c’è stata anche una maggiore incidenza di Covid-19; stesso dicasi per i contesti con un reddito sopra la media regionale, probabilmente proprio per la capacità di socializzazione che questo comporta (d’altra parte, come rileva un altro studio di UniBs basato sulle risposte di 3.579 studenti e 511 genitori, proposto e coordinato da Lucchini, l’isolamento è fondamentale per ridurre i contagi, ma come contropartita, genera un incremento di ansia e depressione anche tra i più giovani).

"In conclusione – scrivono i ricercatori – il nostro studio suggerisce che l’esposizione a PM, fattori meteorologici e diverse variabili socioeconomiche e di comunità possono contribuire all’incidenza e mortalità di Covid-19. Gli interventi di salute pubblica per migliorare l’inquinamento atmosferico possono contribuire a ridurre il fardello globale delle malattie correlate e possibilmente di casi gravi di Covid, specialmente in aree altamente inquinate come la Lombardia, secondo le linee guida della qualità dell’aria dell’OMS". Lo studio, come tutti quelli ecologici, presenta dei limiti: gli stessi autori sottolineano la necessità di fare ulteriori ricerche per valutare l’esposizione al particolato a livello individuale e il ruolo della comorbilità nell’impatto della malattia di Covid19.