Covid, 38mila croci e non è finita

A 24 mesi dalla scoperta del paziente 1 la Lombardia fa i conti con l’emergenza. Il 21% della popolazione è risultato positivo e l’aspettativa di vita si è ridotta

Le bare trasportate dall’ospedale di Bergamo, un’immagine diventata iconica

Le bare trasportate dall’ospedale di Bergamo, un’immagine diventata iconica

Brescia - Un incubo iniziato due anni fa. Era il 20 febbraio 2020, quando l’Italia si svegliava scoprendo che Covid non era più una questione solo della Cina, perché il primo caso era stato rilevato in un paese lombardo, Codogno, sconosciuto ai più fino a quel momento, ma diventato poi tristemente famigliare, non fosse altro per le immagini dei militari chiamati a presidiare la zona rossa (che di lì a poco sarebbe stata estesa a tutta la Lombardia e poi all’intera Italia). Oggi la Lombardia, la regione più colpita da Covid, può sperare grazie ai numeri da zona bianca come evidenziato dalla vicepresidente e assessore regionale Letizia Moratti, ma di certo ogni città, comune, famiglia, esce ferita da questi due anni. I numeri lo dicono chiaramente: in Lombardia, il 21% della popolazione è stato positivo a Covid (2.289.576 da inizio pandemia al 19 febbraio). Vuol dire che più di un quinto del totale ha dovuto affrontare il virus. Tra le province, la percentuale sale sopra il 23% a Como, Varese e Monza, sopra il 22% a Brescia, Lodi, Mantova, Milano, Pavia. Dati che sono probabilmente sottostimati, perché, come è noto, nella primavera del 2020 i tamponi erano molto pochi, tanto che si stima che il numero reale dei contagiati fosse 10 volte tanto quello realmente riscontrato.

Molti sono guariti (2.099.721), ma tanti altri non ce l’hanno fatta: sono state 38.237 le persone positive a Covid che sono decedute in Lombardia. Il dato sull’età dei decessi non lascia spazio a dubbi su chi abbia pagato il prezzo più alto: il 75,60% aveva infatti più di 75 anni. Tra le province, in valore assoluto il maggior numero di morti per Covid si sono registrati a Milano, 11.216, seguito da Brescia (4863) e Bergamo (3955), anche se l’incidenza maggiore di decessi rispetto ai contagi si registrano a Bergamo e Pavia. Anche in questo caso, i numeri registrati sono più bassi rispetto a quelli reali, sempre per effetto della carenza di tamponi all’inizio della pandemia.

Cartina al tornasole è l’aspettativa di vita, che si è ridotta a livello nazionale di 1,2 anni nel 2020, con punte di oltre 4 anni a Bergamo, Cremona e Lodi: cambiamenti che, come attestato dall’Istat, hanno portato modifiche importanti nel ranking della speranza di vita per provincia, con Lodi, Bergamo, Cremona, Brescia, che rispetto al 2019, hanno perso più di 50 posizioni. L’arrivo della vaccinazione è stata lo spartiacque, che ha ridotto i numeri di ricoveri e decessi nonostante l’arrivo delle varianti: l’Istituto superiore di sanità ha certificato che i non vaccinati finiscono in ospedale 9 volte di più di chi ha fatto la booster e 5 volte di più di chi ha fatto 2 dosi di vaccino. Tra i non vaccinati, resta uno zoccolo duro anche tra i sanitari (medici, infermieri, psicologi, farmacisti): 500 su 24mila nella Bergamasca, 150 nel Comasco, un centinaio a Monza. Di certo, rispetto a due anni fa, è cambiata la fotografia negli ospedali, che pure hanno vissuto situazioni limite: basti pensare che il Civile di Brescia ha il triste record in Europa per il numero maggiore di pazienti Covid ricoverati contemporaneamente (900 su una capienza di 1200, nel marzo 2020).

Oggi, grazie ai vaccini, nonostante i contagi (38.995 quelli degli ultimi 7 giorni, con un’incidenza di 389/100.000 abitanti), i ricoveri in reparto o terapia intensiva nelle varie Asst lombarde sono contenuti. Il report di Regione Lombardia da conto di 166 ricoveri in Ats Bergamo, 220 in Ats Brescia, 158 in Ats Val Padana, 105 in Ats Pavia, 217 in Ats Insubria, 57 in ats Montagna, 564 in Ats Milano, 191 in Ats Brianza. Di questi, 155 sono in terapia intensiva; nella giornata di ieri, il saldo tra nuovi ricoveri e dimessi è stato comunque negativo (-129).