PAOLO GALLIANI
Bergamo

Da capitale mineraria a meta turistica: Gromo, la perla medievale delle Alpi

Il riscatto del borgo bergamasco della Valseriana dopo l’alluvione

Il centro di Gromo

Gromo (Bergamo), 20 gennaio 2017 - Mai fidarsi degli acronimi. Rivelano molto meno di quello che sarebbero tenuti a dire. Più bello e onesto chiamare tutto con il nome in esteso. Altro che Map: meglio Museo delle Armi Bianche e delle Pergamene. Lo visiti e 5 minuti dopo, è già evidenza: è valsa la pena di salire fin quassù, Alta bergamasca, Valseriana che più fotogenica di così si muore, e un borgo - Gromo - che da solo vale giustifica il viaggio, come rivela la sua presenza nella prestigiosa lista dei borghi più virtuosi d’Italia premiati dal Touring Club con la «Bandiera Arancione».

Il nucleo medievale perfettamente conservato, la meravigliosa piazza Dante, le case in blocchi di pietra squadrata, il quattrocentesco Palazzo Comunale e l’ancora più vecchio Castello Ginami, con la gigantesca figura di San Cristoforo col Bambino dipinto sulla facciata, anche se a ben guardare è di fresca datazione: anni ’40 o giù di lì e - come pare - semplicemente perché doveva nascondere un’antiestetica canna fumaria, in una Gromo per secoli capitale lombarda dell’estrazione mineraria e della trasformazione dei metalli in alabarde, pugnali e quant’altro. Allora serve ascoltare Andrea Zanoletti, responsabile del Museo, e raccogliere le sue citazioni, che raccontano della lavorazione di spade che si producevano quassù e finivano per rivaleggiare addirittura con quelle spagnole di Toledo. A Gromo, nel 1666, bastò una tragica alluvione a spazzare via tutto e trasformare un operoso borgo industriale in un villaggio bisognoso di riscatto.

Ed è forte anche la tentazione di raggiungere il Büs di Tàcoi a 1550 metri e avventurarsi tra pozzi, meandri, gallerie, sifoni e grotte che annunciano un sorprendente «lago verde» e che deve il suo nome (tacol) ad un piccolo volatile che utilizza l’antro d’ingresso per nidificare. Come citare qualcosa per evocarne un’altra. Ovvio, sempre di cavità si tratta, ma a primeggiare sono le vecchie miniere, le famose «argentiere». In Alta Valseriana resta il più fotogenico tra i borghi della Bergamasca, anche a gennaio che fissa i colori dell’ardesia sui tetti delle case, le pietre solide delle torri e le facciate delle ville liberty che i signorotti lombardi avevano innalzato agli inizi del ’900, sulla scia degli investimenti della famiglia Crespi nel comparto idroelettrico.

Divagazioni in una Gromo dove si è formata una generazione disposta a mettersi in gioco e a scommettere sull’accoglienza e sui sapori tradizionali. Grazie anche all’impegno e alla passione dei volontari, come quelli della cooperativa Artelier, capaci di ideare progetti sartoriali per liberare il potenziale di una località alpina che sul turismo intelligente e mai dozzinale - come sostiene anche il sindaco Sara Riva - sta giocando la sua partita più importante. L’escursione diventa allora scoperta, con tappe consigliate alla bottega di Andreino Santus dove testare unguenti cutanei e amari a base di erbe alpine e alla chiesetta di San Bartolomeo in località Boario.