Il 20 novembre sarà una data importante nella storia infinita legata alla tragedia di Yara Gambirasio e all’annosa, tormentata questione dei reperti conservati in un scatolone nell’Ufficio Corpi di reato del Tribunale di Bergamo. Per la prima volta, in quella data, in un’aula dell’Assise bergamasca, davanti alla corte presieduta dal giudice Antonella Nava, potranno vedere la luce i reperti del caso Gambirasio.
La loro visione è da tempo richiesta dall’avvocato Claudio Salvagni e dal collega Paolo Camporini, difensori di Massimo Giuseppe Bossetti, l’uomo che nel carcere di Bollate sconta una condanna definitiva all’ergastolo per l’omicidio della tredicenne di Brembate di Sopra.
I legali del muratore di Mapello potranno così avere in visione gli slip e i leggings della piccola Gambirasio, dove venne rinvenuta la traccia genetica mista attribuita al tempo a Ignoto 1, poi identificato in Bossetti. Oltre a questi la felpa, il giubbotto, la biancheria, le scarpe, tutto quanto Yara indossava quando scomparve la sera del 26 novembre 2010 per poi essere ritrovata senza vita, esattamente tre mesi dopo, il 26 febbraio 2011, in un campo incolto a Chignolo d’Isola.
L’attenzione dei difensori del detenuto sarà soprattutto per le 54 provette di Dna, trasferite da un frigorifero dell’ospedale San Raffaele di Milano all’Ufficio Corpi di reato del Palazzo di giustizia bergamasco. Sulle provette è divampata in questi anni una polemica rovente, con gli avvocati di Bossetti che sostenevano come, privati di un opportuno regime di refrigerazione come quello garantito invece al San Raffaele, i reperti di Dna si sarebbero irrimediabilmente deteriorati.
Quella che verrà effettuata il 20 novembre sarà un’operazione di “rimozione e riapposizione“ dei sigilli affidata alle cure di un carabiniere e di un agente della polizia di Stato. Presenti, oltre al pubblico ministero e ai difensori, anche gli avvocati della famiglia Gambirasio. Sono stati nove anni di contese e rimpalli. Un punto fermo è stato messo a maggio con un pronuncia della Corte di Cassazione che ha annullato con rinvio l’ordinanza del 21 novembre dell’anno prima con cui l’Assise di Bergamo, come giudice dell’esecuzione, aveva negato alla difesa il diritto di accedere ai reperti confiscati. Questo per svolgere indagini difensive che avrebbero potuto preludere a una richiesta di revisione del processo di Massimo Bossetti.
La Suprema Corte aveva stabilito che una nuova sezione penale della Corte d’Assise di Bergamo doveva consentire alla difesa di accedere ai reperti nei limiti già fissati: una presa visione e non un esame invasivo. È quello che accadrà il 20 novembre. Effettuata la ricognizione, se la difesa ne farà specifica richiesta, la Corte d’Assise dovrà valutare se siano possibili nuovi accertamenti tecnici oppure pronunciarsi per la loro manifesta inutilità.