Omicidio Yara, gip: "Indagare pm Ruggeri per depistaggio su dna di Bossetti"

A Venezia indagato anche un magistrato. Gli avvocati di Bossetti: ora è impossibile chiedere la revisione del processo

Yara Gambirasio e Massimo Bossetti

Yara Gambirasio e Massimo Bossetti

Bergam, 29 dicembre 2022 -  Si tornaI reperti del caso Yara Gambirasio sono stati conservati adeguatamente? Il Dna di "Ignoto 1" è stato preservato in modo idoneo, oppure è andato irrimediabilmente deteriorato, al punto che oggi non esiste più? Sono due gli iscritti nel registro degli indagati della procura di Venezia (competente per la posizione dei magistrati bergamaschi): il presidente della prima sezione penale del tribunale di Bergamo, Giovanni Petillo, e la funzionaria responsabile dell’Ufficio corpi di reato, Laura Epis. Per entrambi l’ipotesi di reato è quella prevista dall’articolo 375 del codice penale: frode penale e depistaggio. È un effetto della lunga offensiva portata avanti e di una denuncia firmata da Claudio Salvagni e Paolo Camporini, difensori di Massimo Bossetti, il muratore condannato in via definitiva all’ergastolo per l’omicidio della tredicenne di Brembate di Sopra. Era stata la traccia genetica rimasta impressa sugli slip e i leggins della piccola Gambirasio l’architrave dell’accusa e della condanna di Bossetti, che la genetica aveva identificato con l’"Ignoto 1" della traccia.

La difesa dell’artigiano di Mapello chiede da tempo l’esame di 98 reperti, gli indumenti di Yara (giubbotto, felpa, maglietta), leggins, calzini, biancheria, le scarpe che indossava il 26 novembre del 2010, prima di venire ghermita per essere ritrovata, senza vita, tre mesi dopo, il 26 febbraio 2011, in un campo a Chignolo d’Isola. I difensori insistono soprattutto per l’esame di 54 provette con i campioni di Dna estratti da slip e leggins, all’epoca conservati a Milano, all’ospedale San Raffaele. Il 2 dicembre 2019 viene eseguita la confisca delle provette disposta dal tribunale di Bergamo, su richiesta della procura, prelevate dai carabinieri e depositate nell’Ufficio corpi di reato del tribunale. Il 18 dicembre 2020 i legali di Bossetti depositano alla procura veneziana una denuncia di otto pagine nei confronti del responsabile dell’Ufficio corpi di reato e di "ogni qualsivoglia responsabile" per il reato previsto dall’articolo 375. Da informazioni, risulta che il reperto (le 54 provette) "sia stato conservato in modo tale da farlo deteriorare, violando così sia il provvedimento di confisca sia ogni ulteriore attività difensiva".

L’Ufficio corpi di reato, sostengono, è sprovvisto di un qualunque impianto di raffreddamento, quando per la conservazione di quel materiale organico è necessaria una temperatura inferiore a 20 gradi. Dal Palazzo di Giustizia bergamasco nessun commento. A parlare sono i difensori dell’uomo che sconta il carcere a vita. "Come - dice Salvagni - sono stati conservati quei reperti? In condizioni idonee, mantenendo la catena del freddo, oppure, come riteniamo, senza le dovute cautele, il che equivale ad averli distrutti? Questo significherebbe l’impossibilità per la difesa di effettuare nuove indagini e per Bossetti di richiedere la revisione del processo".

«Nel novembre del 2019 abbiamo chiesto di esaminare tutti i reperti, fra cui le 54 provette con il Dna di ‘Ignoto 1’. Il presidente del Tribunale di Bergamo non solo ha autorizzato, ma ha disposto la corretta conservazione dei reperti. Da Bergamo è venuta una serie di dinieghi che hanno respinto la nostra richiesta di esaminare i campioni e poi quella di conoscerne lo stato di conservazione. Ne è nato un balletto estenuante, tanto che il 7 aprile saremo nuovamente in Cassazione. Anche alla luce di alcune preoccupanti notizie di stampa, abbiamo chiesto come fossero conservati i reperti dopo il trasferimento dal San Raffaele a Bergamo. Nessuna risposta e allora abbiamo presentato la denuncia. La sentenza d’appello ha sostenuto che il Dna era esaurito e perciò era impossibile rifare il test. Ma il professor Casari, genetista, consulente della procura di Bergamo, ha dichiarato che le provette erano al San Raffaele e che potevano essere utilizzate per ulteriori indagini. Ecco infatti che le provette sono ricomparse quando è stata eseguita la loro confisca. E nel provvedimento di confisca è scritto che i reperti ‘vanno mantenuti agli atti’: quindi, non solo non dovevano essere distrutti, ma andavano conservati bene. È stato così?".