Un “pizzo” da 2mila euro al mese Quattro alla sbarra per estorsione

Al centro dell’indagine il bar “Dolcevita” di Bergamo in via Borgo Palazzo. Imputata la famiglia Marras

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di Francesco Donadoni

In questo processo per estorsione, una delle parti offese è Nicholas Anesa. Nel 2019 aveva deciso di sfidare Giorgio Gori alla corsa per la poltrona di sindaco. Una candidatura, quella di Anesa, con l’appoggio del Movimento 5 Stelle. Sul suo profilo social, si definisce “pasticcere vegano“. E nel periodo in questione, lavorava al bar-pasticceria “Dolce Vita“ in via Borgo Palazzo, locale finito al centro di questa indagine. Fatti che vanno dal 2015 al 2016.

Secondo l’accusa Anesa sarebbe stato costretto, sotto minaccia, a consegnare una somma di denaro non dovuta, un pizzo da 500 euro al mese, agli imputati Medardo Marras, Gian Medardo Marras e Rosa Gota Lestingi, compagna del Marras senior, tutti difesi dall’avvocato di fiducia Davide De Caprio di Roma. Defilata la posizione di un quarto imputato, Marco Bergamaschi, assistito dall’avvocato Adriano Spinelli di Brescia. Le minacce erano consistite nel prospettare alla vittima gravi conseguenze sul piano personale e patrimoniale qualora non avesse aderito alle richieste della famiglia Marras. Il fine era estrometterlo dalla gestione per far posto ai Marras. Al momento della consegna della busta con i soldi alla Lestingi, però, sono arrivati i carabinieri.

Ieri, davanti al Tribunale collegiale, ci sono state le richieste del pm Laura Cocucci, con pene che variano da 8 anni, 5 anni e sei mesi per Marras padre, per il figlio e la compagna del Marras. Un anno e due mesi per il quarto imputato. Il locale in questione era stato sottoposto a sequestro dal Tribunale di Roma a seguito delle misure di prevenzione e patrimoniali a carico di Medardo Marras (in precedenza aveva gestito l’attività con il figlio e la compagna). Anesa, amico della Lestingi, nel frattempo era diventato titolare del bar con regolare affitto stipulato con l’amministratore giudiziario. Nel 2015, secondo l’accusa, i tre avevano costretto Anesa a versare 2mila euro al mese per lavorare, un altro pizzo.

Per il difensore dei tre, si è trattato di una montatura: "La verità è che il locale stava andando male. Con la gestione di Anesa aveva accumulato debiti, lo stava facendo fallire. Era stato lui ad accennare ai 500 euro come forma di risarcimento, altro che pizzo. Questa è un’indagine nata male. I Marras ci tenevano a quel bar e non vedevano l’ora di tornarne in possesso, altro che estorsori". Alla fine ha chiesto l’assoluzione per tutti e tre perché il fatto non sussiste. La prossima udienza, toccherà al difensore di Bergamaschi.