
Violenza sessuale
"Se ci stai ti faccio il contratto". Poi, al rifiuto, la violenza sessuale sul luogo di lavoro. E la nuova proposta: "Se accetti ti metto in regola". La Cassazione ha confermato la condanna a sei anni e mezzo di reclusione, senza concessione delle attenuanti generiche, nei confronti di un imprenditore della Val Seriana, nella Bergamasca, titolare di un avviatissimo agriturismo con ristorante e produzione agricola. La donna si occupava di lavare i piatti e dell'attività ricettiva. L'uomo l'aveva colta alle spalle, mentre si cambiava nello spogliatoio riservato al personale. In seguito aveva sostenuto che si era trattato di "un gesto occasionale" e che il trattamento sanzionatorio era eccessivo essendo lui "un onesto lavoratore e un padre di famiglia sempre rispettoso delle regole".
Terminata la violenza sessuale, che aveva provocato un ricovero in ospedale e due mesi di prognosi, l'imprenditore, Paolo Rotoli, 47 anni, si era rivolto alla dipendente dicendole che "se avesse accettato altri rapporti con lui, l'avrebbe messa in regola". Senza successo, la difesa dell'imputato nel ricorso alla Suprema Corte contro il verdetto emesso dalla Corte di appello di Brescia l'11 febbraio 2021, e conclusosi con la condanna a sei anni e mezzo, ha chiesto il riconoscimento delle attenuanti generiche. "Avrebbero potuto essere riconosciute - ha sostenuto il legale dell'imprenditore - in considerazione dello status di incensurato dell'imputato, la cui condotta di vita precedente al fatto è stata sempre inappuntabile, essendosi in presenza di un gesto occasionale, compiuto da un onesto lavoratore e da un padre di famiglia sempre rispettoso delle regole".
Per la Cassazione invece, il rifiuto dei giudici di merito di concedere le attenuanti con relativo sconto di pena, è una decisione corretta "per l'assenza di elementi suscettibili di positiva considerazione, a fronte del disvalore della vicenda insito nel fatto che l'imputato ha compiuto una condotta illecita approfittando di una situazione lavorativa in cui egli si trovava in una posizione sovraordinata, essendo il datore di lavoro della persona offesa". Confermato dalla Cassazione - con la sentenza 14958 depositata oggi dalla Terza sezione penale - anche il risarcimento del danno stimato in via equitativa in 45mila euro, somma ritenuta "congrua" dalla Corte di Appello "tenuto conto della sofferenza non solo morale ma anche fisica, in considerazione delle conseguenze" della violenza.
Anche in primo grado il Tribunale di Bergamo, con sentenza del 7 novembre 2019, aveva inflitto sei anni e mezzo di condanna per questa violenza ai danni di una donna che tra l'altro viveva in condizioni di gravi necessità economiche e con figli piccoli. Il fatto è avvenuto nel novembre 2017. La vittima è stata sostenuta da assistenti sociali e personale medico nel suo percorso verso la denuncia.