"Quelle coltellate per uccidere" Il medico legale ricostruisce l’agguato di via Novelli

"Quelle coltellate erano per uccidere". Lo ha spiegato il medico legale Matteo Marchesi, consulente del pm Paolo Mandurino al processo per omicidio aggravato nei confronti di Alessandro Patelli, 20 anni, giardiniere (attualmente ai domiciliari, presente in aula: parlerà il 13 luglio) si è trattato di una "dinamica tipicamente omicidiaria" che ha portato alla morte del tunisino Marwen Tayari, 34 anni, accoltellato l’8 agosto dello scorso anno in via Novelli. Tre gli elementi importanti. Il primo è "l’utilizzo dell’arma in modalità penetrante", cioè il coltello usato era per fare tagli in profondità. Il secondo punto è "la reiterazione delle ferite". Durante l’autopsia ne furono riscontrate 6 sul corpo della vittima: una al cuore, una al collo (dove si trovano carotide e vena giugulare) due al dorso e due alla coscia sinistra. Il terzo è "l’attingimento di due regioni anatomiche molto delicate", il collo e il cuore. E proprio la lesione cardiaca, sempre secondo il medico legale, è stata quella che ha determinato il decesso di Tayari per choc emorragico. Osservazione del presidente della Corte d’Assise, Giovanni Petillo: "Ci vuole molta forza per provocare questo tipo di ferite?" "Non moltissima — ha risposto il consulente —, perché gli strumenti taglienti sono fatti per insinuarsi nei tessuti". Prima dell’aggressione l’imputato e la vittima avevano avuto un diverbio. Tayari era assieme alla compagna, Eleonora Turco e alle due bimbe, di 3 e 13 anni: erano seduti sui gradini all’esterno del palazzo dove abitava Patelli con la famiglia, in via Novelli al 4. Sul banco dei testimoni si sono alternati i carabinieri che avevano eseguito gli accertamenti, tra cui il capitano Crescenzo Maglione, del Nucleo Radiomobile di Bergamo, il maresciallo Luca Forcella, il primo ad arrivare in via Novelli. Il maresciallo ha ricordato che Patelli gli aveva detto: "Mi stava aggredendo con una bottiglia, mi sono difeso. Allora io gli ho chiesto dov’era il coltello e lui mi aveva risposto che l’aveva in tasca. Gli ho fatto indossare un paio di guanti e me l’ha consegnato". E poi la storia dello zainetto. Patelli lo indossava per andare a Trescore a fare dei lavoretti? Per i testimoni sentiti subito dopo il fatto no. F.D.