Bergamo, morta bruciata in un letto di ospedale: "Voglio giustizia per Elena"

Era legata al letto durante l'incendio del reparto di Psichiatria. Dopo 12 mesi la madre della diciannovenne: "Un tormento che non passa"

Elena insieme alla madre India

Elena insieme alla madre India

Bergamo, 12 agosto 2020 - Quando una mamma perde un figlio è come se lo perdessero tutte le mamme. Faccio una richiesta di cuore a chi indaga sulla morte di mia figlia: aiutatemi, non ce la faccio più». Sua figlia la chiamava “mamma India”. Indiaxé Bahia Souza Venet, origini brasiliane, è la madre di Elena Casetto, morta a 19 anni in un incendio nel reparto di psichiatria dell’ospedale Papa Giovanni di Bergamo, cinque giorni dopo il ricovero, mentre era in un letto di contenzione. Era il 13 agosto di un anno fa. Elena era stata trovata con una caviglia ancora legata alla sbarra del letto.

Cosa farà, mamma India, per questo anniversario? «Alle quattro del pomeriggio faremo una preghiera in diretta su Facebook con tutti gli amici e con gli amici del Brasile. Qua non abbiamo tanti parenti, ma in Brasile siamo una grande famiglia. Elena ha nove zii».

Questo anno come è trascorso? «Un po’ male, un po’ meglio. Di una cosa sono sicura: tirerò avanti fino a quando non avrò giustizia. Anche se non avrò mai più mia figlia».

Cosa si attende? «Giustizia, solo giustizia. Sapere cosa è successo. Ci sono responsabilità. Mia figlia è entrata in ospedale viva. Ho avuto l’istinto di portarla via di nascosto e non l’ho fatto. Questo pensiero mi tormenta».

Chi le è stato vicino? «Ho avuto una vera vicinanza da ‘... e tu slegalo subito’ e dalle Associazioni di Bergamo che si occupano della questione della contenzione. Nessun altro. Mi sarebbe piaciuto sentire la vicinanza degli amministratori, delle autorità, ricevere una lettera di condoglianze. Invece niente. Nada».

Un pensiero per Elena. «Lo sto preparando. Voglio fare un video su facebook. Vorrei dire questo: “Quando una mamma perde un figlio è come se tutte le mamme del mondo perdessero anche loro un pezzo“. Io oggi sono qui perché voglio sapere quello che è veramente accaduto nel reparto di psichiatria dell’ospedale Papa Giovanni di Bergamo. Quel 13 agosto 2013 dov’erano che non hanno visto l’incendio che ha ammazzato mia figlia? È già un anno di sofferenza senza nessuna risposta. Voglio verità e giustizia. Non è possibile che non ci fosse nessuno in quel reparto che la potesse salvare. Non è possibile che l’avessero dimenticata. Mi devono portare i resoconti. Voglio giustizia. Sono una mamma che a volte ritrova un sorriso, ma è un sorriso di pochi minuti. In un attimo mi ritrovo dentro la stessa storia. Non riesco a dimenticare».

E a sua figlia cosa vorrebbe dire? «Elena, ti amerò sempre. Non ti dimenticherò mai. Ho giurato sulla tua tomba che avrai giustizia. Non rimarrà così. E’ inaccettabile che in un Paese come l’Italia succeda una cosa del genere».

Domani alle 10 il Forum delle Associazioni per la Salute mentale di Bergamo, l’Unione regionale Associazioni Salute mentale Lombardia e la campagna “... e tu slegalo subito” ricorderanno Elena Casetto con un presidio, simbolico e silenzioso, all’ingresso dell’ospedale Papa Giovanni. S

Saranno decisive le consulenze disposte dal pm Letizia Ruggeri, che ha aperto un fascicolo per omicidio colposo a carico di ignoti. Secondo l’autopsia il decesso era stato provocato dalle esalazioni di monossido di carbonio e dalle ustioni. Sulla schiena della ragazza erano state trovate tracce di un accendino bruciato, rimasto a sua disposizione nonostante i controlli. Il rogo era stato “riprodotto” dai vigili del fuoco in una stanza gemella di quella che ospitava Elena. Il consulente nominato dal pm ha lavorato sull’ambiente per comprendere come era stato possibile che le fiamme divorassero la camera con tanta rapidità: la tenuta del materasso e delle lenzuola, i materiali impiegati nel reparto psichiatrico, gli impianti, i lavori, le certificazioni. La consulenza tossicologica doveva accertare se prima della contenzione Elena fosse stata sedata.

La replica dell’ospedale alle prime dichiarazioni della madre di Elena Casetto era stata netta: un ricovero volontario, accettato dalla ragazza stessa che riconosceva di avere bisogno di aiuto, smentite presunte aggressioni così come carenze delle condizioni igieniche e dell’assistenza.