Killer ancora ricercato: ha 159 anni. Simone Pianetti e quel giallo mai risolto

Una strage compiuta oltre un secolo fa nella bergamasca Val Brembana diventa curiosità storico-giudiziaria

Simone Pianetti

Simone Pianetti

Bergamo, 28 luglio 2017 - Ricercate Simone Pianetti, condannato all’ergastolo per omicidio plurimo. Nato a Camerata Cornello nel 1858. Residente a San Giovanni Bianco. Età anni 159. Proprio così. Una strage compiuta oltre un secolo fa nella bergamasca Val Brembana diventa curiosità storico-giudiziaria. La mattina del 13 luglio 1914 Simone Pianetti imbraccia un fucile a tre canne. Fra Camerata Cornello e San Giovanni Bianco fredda sette persone, benpensanti della zona che considera responsabili, a vario titolo, del fallimento della sua osteria con sala da ballo, di quello di un mulino elettrico, delle sue ambizioni politiche quando si è presentato alle elezioni per il comune, di pettegolezzi e maldicenze che lo hanno colpito. Conclusa la mattanza, sparisce sulle montagne. Non lo rivedranno mai più.

Il processo viene celebrato, in Assise a Bergamo, il 24 maggio 1915. L’imputato, latitante, è condannato all’ergastolo. Viene subito emesso l’ordine di carcerazione. All’epoca esiste, per i processi in contumacia, un curioso istituto: la ‘purgazione’. Se l’imputato si presenta dopo la sentenza, questa viene annullata e si celebra un nuovo processo. Nel frattempo, la sentenza non passa in giudicato, il processo è considerato ancora pendente e con esso anche l’esecutorietà dell’ordine di carcerazione. Per il caso Pianetti si crea così una situazione paradossale. La Procura di Bergamo riprende in mano il fascicolo nel 1968, quando l’uomo della Val Brembana, se fosse vivo, avrebbe la biblica età di 110 anni e quindi conclude che il reato deve essere considerato prescritto con effetto anche sulla esecuzione della sentenza di condanna. Che risultato ha l’iniziativa della Procura? Cosa decide in proposito il Tribunale? I vari trasferimenti dell’archivio del Tribunale e il mancato ritrovamento del fascicolo del processo non permettono, a oggi, di conoscere quale sia stata la decisione sulla richiesta della Procura né consentono di prendere eventuali nuove iniziative. Si sarebbe forse potuto percorrere un’altra strada. Secondo autorevoli studiosi, la dichiarazione di morte presunta avrebbe potuto e potrebbe ancora portare all’estinzione del reato per morte del reo. Ma a oggi non è stato ritenuto opportuno dai parenti di Pianetti chiedere la dichiarazione di morte presunta. Né ha ritenuto di farlo la Procura. Per la legge e per lo Stato italiano Simone Pianetti è ancora vivo.

Saldare in una volta, tutti i conti. Mattinata di lucida, determinata follia, in quel luglio del 1914. Pianetti si apposta e fredda con due fucilate il medico condotto Domenico Morali, che non ha riconosciuto l’appendicite di uno dei figli. Non ha scampo Abramo Giudici, il segretario comunale che ha firmato l’ordinanza di chiusura della trattoria di Pianetti e con lui la figlia Valeria, una ragazza di 27 anni. Il calzolaio e giudice conciliatore Giovanni Ghilardi, un avversario politico, è il quarto a cadere. Sul sagrato don Camillo Filippi conversa con il messo comunale Giovanni Giupponi. Pianetti saluta togliendosi il capello e spara due volte. Il prete gli ha fatto la guerra per la balera, il messo si è opposto a una richiesta di derivazione dell’acqua di una fontana. La settima e ultima vittima è Caterina Milesi, detta Nella: ha un debito con Pianetti, si rifiuta di pagargli un sacco di farina. Simone Pianetti si smaterializza. Le ipotesi sulla sua fine non hanno mai smesso di ricorrersi. Suicida in un burrone. Fuggito nell’America del Sud e avvistato in Venezuela. Tornato in patria per morire, pacificamente, a Milano in casa di un figlio.