Covid Italia, l’inchiesta choc e il report sparito: "Panico e ospedali in tilt"

Il documento dell'Oms agli atti dell'inchiesta della Procura di Bergamo per epidemia colposa

Ospedali saturi

Ospedali saturi

Bergamo, 19 maggio 2021 - "L’Italia non era del tutto impreparata a una epidemia quando arrivarono i primi notiziari dalla Cina". Ma la celerità nella diffusione del virus e il moltiplicarsi di casi gravi furono travolgenti. Gli ospedali della penisola erano disarmati e la loro reazione di fronte all’emergenza in principio fu "improvvisata, caotica, creativa". "Una sfida senza precedenti la prima risposta dell’Italia al Covid-19" è il titolo del rapporto redatto in inglese dal gruppo di Venezia di ricercatori dell’Oms guidato da Francesco Zambon. Pubblicato sul sito dell’Organizzazione mondiale della Sanità, le 89 pagine del report vennero rimosse a distanza di poche ore dalla pubblicazione, il 14 maggio di un anno fa, e non ricomparvero. Lo studio è agli atti dell’inchiesta della procura di Bergamo che indaga a carico di ignoti per epidemia colposa. "Nelle due settimane – scrive il rapporto – tra la notifica dei primi casi importanti e il momento in cui il Paziente Uno si presentò in condizioni critiche al pronto soccorso di Codogno, il virus si diffuse nella comunità. A oggi, la catena che portò alla trasmissione comunitaria in Italia non è ancora ben chiara. Quello che si sa è che in breve tempo il numero di persone che avevano necessità di cure intensive d’urgenza aumentò in modo esponenziale; dopo alcuni giorni, l’ospedale di primo soccorso non aveva più letti disponibili e doveva fare fronte all’evacuazione dei pazienti in unità di terapia intensiva in altri ospedali. Al 2 marzo erano già stati registrati 2036 casi, con 127 persone in terapia intensiva in Lombardia, 16 in Emilia-Romagna e 14 in Veneto. La richiesta di assistenza superò presto la capacità ricettiva". "L’improvvisa situazione di crisi causò panico e mise fuori gioco le capacità di tracciamento dei contatti. Gli ospedali nelle aree più colpite dovettero affrettarsi per stabilire procedure di triage e screening e circuiti sicuri per i pazienti". La gente si ammala. Muore. È una corsa contro il tempo per aumentare i posti letto in terapia intensiva, fornire attrezzature, mobilitare il personale. "Impreparati a una tale inondazione di pazienti gravemente ammalati, la reazione iniziale degli ospedali fu improvvisata, caotica e creativa. Ci volle del tempo prima che diventasse disponibile una guida ufficiale". "Nelle regioni colpite per prime dall’epidemia - Lombardia e Veneto - la trasmissione comunitaria (del virus - ndr) era ormai consolidata al momento in cui venne sollevato l’allarme. La crescita esplosiva della pandemia superò rapidamente la capacità di testare". Dagli ospedali lombardi parte un’autentica mobilitazione. "Nelle regioni del nord che costituirono l’epicentro iniziale della malattia, Lombardia, Emilia-Romagna, Piemonte e Veneto, il numero enorme di pazienti con test, molti ricoverati per emergenza, sopraffece rapidamente le capacità locali. Altri operatori sanitari - ispettori della sicurezza, controllori o funzionari amministrativi - vennero riutilizzati. Diverse unità sanitarie locali dovettero sollecitare l’assistenza di operatori sanitari in pensione, medici e personale infermieristico - perché aiutassero a fare le telefonate necessarie per il tracciamento dei contatti. Anche così, la ricerca dei contatti nelle aree più colpite esaurì rapidamente i servizi sanitari pubblici locali". Un sistema sanitario a base ospedaliera, rispetto a quello su base territoriale di altre regioni, non aiutò la Lombardia.

"L’intensità e l’efficacia della ricerca dei contatti fu un indicatore della capacità di ciascuna regione di mobilitare gli operatori sanitari e trovare materia per i test, ma anche del modo in cui avevano organizzato i loro sistemi sanitari. Regioni come il Veneto e l’Emilia-Romagna poterono contare sulla loro compatta rete sanitaria pubblica per identificare i casi e testarli. Altre regioni come la Lombardia, dove i sistemi sanitari erano più ospedale-centrici, faticarono di più a sviluppare il tracciamento dei contatti".