Coronavirus, zona rossa nella Bergamasca? "Andava decisa prima"

Forte la preoccupazione sia per la salute che per i problemi economici tra gli abitanti di Nembro e Alzano

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Bergamo, 8 marzo 2020 -  Il suono delle ambulanze è la colonna sonora delle giornate. In giro pochissimi hanno la mascherina, forse per respirare aria di consuetudine, però molti esercizi commerciali hanno le serrande abbassate. Nei centri storici, il largo cerchio di pensionati – tutto alla prescritta distanza l’uno dall’altro – non discute più delle imprese dell’Atalanta del mago Gasperini, ma gli anziani non hanno perso comunque il buonumore. Si prendono in giro ("Cosa fai tu qui, che hai 70 anni e non puoi uscire?") Benvenuti a Nembro e ad Alzano, i due Comuni della Media Valle Seriana da giorni in attesa di diventare “zona rossa” a causa del coronavirus.

Nei due paesi l’atmosfera è rarefatta, ma non spettrale. Insomma, niente panico da scenari post-atomici, com’era accaduto il primo giorno di questa odissea, domenica 23 febbraio, quando gli scaffali dei supermercati erano stati presi d’assalto e svuotati nella foga dell’incetta. Certo, il traffico è scarso, i passanti non sono numerosi. Alzano, in particolare, è stata la culla di industrie storiche, la porta d’ingresso di una valle, la Media Valle Seriana appunto, un tempo ricca di filature e denaro e che ora, ai tempi della globalizzazione, cerca di barcamenarsi. Il comun denominatore fra i due centri è l’incertezza, capire cioè quando il governo si deciderà a dichiarare il territorio “zona rossa”.

«Per il momento non ho alcun timore del coronavirus – spiega Gianni Bergamelli, 90 anni portati con grande baldanza, musicista di musica jazz e pittore, nembrese doc, che anche ieri mattina era al bar della piazza a bere il caffè e a leggere il giornale –. Bisogna essere prudenti, senza esagerare con la paura. Io esco per forza, se sto in casa mi ammalo davvero. Devo uscire, fare la mia solita passeggiata e respirare un po’ d’aria buona. Insomma, il coronavirus non ha modificato le mie abitudini".

Per Gigi Riva , 60 anni, giornalista del settimanale l’Espresso, ex cronista de Il Giorno, sceneggiatore di film sulla storia della Jugoslavia, altro nembrese doc (anche se ormai vive in Romagna, ma in paese tiene contatti con amici e parenti), "il virus era in giro già da prima che scattasse l’allarme. Il problema è che Nembro in passato era schiacciato tra Alzano e Albino, due grossi centri. Poi è uscito dal guscio, i suoi abitanti hanno iniziato a vivere il paese, a stare all’aperto. Ecco, questo potrebbe essere uno dei motivi del contagio, il fatto cioè che a noi piace stare fuori di casa".

«La zona rossa andava fatta prima – sottolinea invece Fabio Gnocchi, 49 anni, artigiano-imbianchino residente ad Alzano ma con molti lavori che gli vengono commissionati a Nembro –. Adesso è tardi. Certo, la salute viene prima, ma anche il lavoro è importante. Io lunedì devo andare a lavorare a Nembro, ma se mettono la zona rossa come faccio? La cosa che mi dà più fastidio è proprio questa incertezza, ovvero il fatto di non sapere se diventeremo e meno zona rossa". «Io sono sempre rimasto aperto – rivela Sergio Carminati, 54 anni, titolare dell’emporio “Mo Caffè”, specializzato nella vendita di macchine e capsule del caffè, situato ad Alzano, proprio vicino al cartello stradale che indica l’inizio del Comune di Nembro –. Se faccio due passi, mi ritrovo a Nembro. Anch’io penso che la priorità sia la salute e che ormai sia tardi per dichiararci zona rossa. Il provvedimento andava preso prima, adesso il virus ha già preso il largo. Se perdo l’incasso di un mese, me ne faccio una ragione, ma se finisco in terapia intensiva per il coronavirus è una tragedia. Sulla vetrina del mio negozio, grazie a un led luminoso, si può leggere questa frase, che è un po’ la mia filosofia di vita: “Meglio essere pessimisti e avere ragione, piuttosto che essere ottimisti e avere torto”".