
Coronavirus
Bergamo, 14 aprile 2020 - Sono un medico di origine congolese da circa 20 anni in Italia, ho conseguito qui la laurea e la specializzazione in Chirurgia generale. Dopo un’esperienza di lavoro in Inghilterra, mi mancava l’aria di casa, sì, la mia seconda casa: l’Italia. E sono rientrato. Adesso lavoro in un ospedale pubblico della Lombardia, nella provincia di Bergamo.
Ho contratto il Covid-19 lavorando, e vorrei sensibilizzare i lettori sull’importanza di restare uniti per sconfiggere la pandemia. Dopo avere lottato contro questo nemico invisibile in reparto, sono stato a mia volta contaminato. La mia storia è uguale a quella di molti colleghi. Non potendo combattere con lo stetoscopio in mano, voglio continuare a lottare contro il virus raccontando la mia storia. Questo mostro ci ha brutalmente ricordato che siamo tutti uguali e strettamente legati l’uno all’altro. Davanti alla morte non esiste bianco, nero, giallo, ricco, povero. Abbiamo un comune denominatore che si chiama umanità e ci rende tutti uguali.
Vorrei condividere la mia esperienza personale, quella di una notte tipo di un medico in servizio di emergenza: mancano quindici minuti alle venti, all’inizio del mio turno di notte, davanti alla collega che mi sta dando le consegne si capisce che questa non sarà una notte normale. Ho numerosi pazienti in attesa, tra cui qualcuno che aspetta dalle 14, ma la cosa spaventosa è il numero di codici gialli e rossi da visitare. Subito mi butto nella mischia, aiutato dai miei eroi della notte: gli infermieri. Adesso non c’è più tempo, bisogna inquadrare i pazienti più urgenti, con distress respiratorio, si devono visitare, va raccolta la loro storia e vanno impostate le indagini da fare, bisogna individuare i farmaci. Il primo paziente, 67 anni, è messo malissimo, mi serve l’aiuto del collega anestesista: insieme decidiamo di trasferirlo in un’altra struttura nella notte. Poi passo a un altro paziente, poi a un altro e uno ancora, alla fine ho già perso il conto, il mio angelo custode, l’infermiere, commenta: l’emorragia non si ferma, i pazienti in codice rosso non si contengono più.
Era l’inizio di una tragedia: la pandemia in Lombardia prendeva forma sotto i miei occhi. Dopo cinque ore a combattere, sono riuscito a fermarmi per prendere un bicchiere di acqua e andare in bagno, sempre con camice sterile, con la mascherina che ti soffoca, mentre hai l’impressione di non respirare, con la paura in pancia, ti chiedi: non sarà l’inizio del primo sintomo di dispnea anche per me? Grazie a Dio non era così, almeno per quel momento. Dopo ore intense, la mattina arriva a salvarci: avrò visto più di 10 casi positivi in una sola guardia di 12 ore. Questa volta ci siamo, ho pensato: siamo nell’occhio del ciclone. Ma uniti, ce la faremo, coraggio! Io ho contratto il virus, ma adesso sono guarito! #iorestoacasa.