
Pierbattista Pizzaballa è nato a Cologno al Serio, in provincia di Bergamo, il 21 aprile 1965
Ci sono preti che arrivano alla porpora cardinalizia dopo carriere trascorse nei corridoi vaticani o nelle nunziature di mezzo mondo. E poi ci sono uomini come Pierbattista Pizzaballa, che hanno imparato i segreti del potere ecclesiastico non nelle anticamere romane, ma camminando sui sentieri polverosi della Terra Santa, dove la religione non è teoria ma sangue, pietra e conflitto quotidiano. Non è un teorico da scrivania, né un oratore da aula magna, ma un frate abituato a camminare in luoghi dove la teologia segue le rigide linee geografiche che separano fedi spesso in conflitto.
Bergamasco di Cologno al Serio, nato il 21 aprile 1965, Pizzaballa ha quella concretezza lombarda che mal si concilia con la retorica curiale. Entrato nell’Ordine dei Frati Minori nel 1984, ordinato sacerdote nel 1990, si è trasferito in Terra Santa ad appena 25 anni. Un battesimo di fuoco, per un giovane prete che avrebbe finito per trascorrere oltre trent’anni in quella regione travagliata. Imparò l’ebraico moderno – cosa che non piacque alla Curia – e studiò le tradizioni ebraiche all’Università di Gerusalemme, si immerse nella complessità di quella società plurale e lacerata. Dal 2004 al 2016 ha servito come Custode di Terra Santa, il guardiano dei luoghi santi per conto della Chiesa cattolica.
Ma il vero salto avvenne nel 2016, quando Papa Francesco lo nominò Amministratore apostolico del Patriarcato Latino di Gerusalemme, promuovendolo poi a Patriarca nel 2020 e infine creandolo cardinale nel Concistoro del 30 settembre 2023. Un’ascesa rapida per un uomo che si è formato lontano dalle reti d'influenza tradizionali. Quella nomina confermò che Bergoglio si fidava di lui per la gestione uno scacchiere cruciale e incandescente.

Dialogo al centro
Ma Pizzaballa non è solo un diplomatico abile, è anche un pastore che ha dovuto affrontare questioni spinose in un contesto dove ogni parola può scatenare una tempesta. È un uomo che conosce la complessità. In un intervento pubblicato nel volume “Il villaggio dell’educazione”, ha scritto: “Non basta preservare il carattere storico della città attraverso le sue pietre, ma è anche necessario preservare l’intreccio unico di relazioni di fedi, popoli e culture, senza esclusivismo. La natura di Gerusalemme è includere, non escludere”.
Durante la sua prima Messa Pontificale al Santo Sepolcro nel 2020, ha affermato: “Siamo la Chiesa del Cenacolo, ma non del Cenacolo con le porte sbarrate e persone paralizzate dalla paura. [...] La Chiesa dovrà costruire la pace che è frutto dello Spirito, che dona vita e fiducia, sempre di nuovo, senza stancarsi mai”.
La questione di Gaza
Sulla questione del dialogo interreligioso, Pizzaballa ha osservato: “Il dialogo interreligioso ha prodotto documenti molto belli sulla fraternità umana [...] eppure, nell’attuale contesto di guerra, tutto questo in Terra Santa sembra oggi essere lettera morta”. Riguardo al conflitto in Palestina, ha dichiarato: “Finché da parte di tutti non vi sarà una purificazione della comune memoria [...] le ferite del passato continueranno ad essere un bagaglio da portare sulle proprie spalle”.
Dopo l’attacco di Hamas del 6 ottobre, condannò severamente l’azione terroristica, ma ebbe il coraggio di dire l’attacco “non è avvenuto nel vuoto”. Questa affermazione gli valse le critiche del governo di Netanyahu (che ancora oggi osteggia la sua candidatura al papato). Appena pochi giorni dopo, il 16 ottobre 2024, si è offerto in cambio dei bambini in ostaggio di Hamas guadagnandosi il consenso dei familiari delle vittime e degli ostaggi.

Le posizioni su mondo LGBTQ+ e donne nella Chiesa
Sulla questione dell’accoglienza delle persone LGBTQ+ nella Chiesa, il cardinale Pizzaballa ha espresso la necessità di un approccio pastorale equilibrato. In un’intervista del 2018 durante il Sinodo dei Vescovi dedicato ai giovani, ha sottolineato l’importanza di risposte chiare alle sfide del mondo contemporaneo, evidenziando la complessità delle questioni legate all’identità e alla fede.
In merito alla dichiarazione Fiducia supplicans del dicembre 2023, che apre alla possibilità di benedizioni per coppie in situazioni irregolari, Pizzaballa ha evidenziato la necessità di considerare attentamente le diverse sensibilità culturali e religiose presenti nella regione mediorientale. Ha sottolineato l’importanza di un’applicazione pastorale prudente e saggia del documento, in linea con le indicazioni del Papa, che ha ribadito che “le persone sono benedette, non il peccato”.
Riguardo al ruolo delle donne nella Chiesa, Pizzaballa ha riconosciuto il contributo fondamentale delle donne nella vita delle comunità cristiane in Terra Santa. Durante il Sinodo del 2018, ha partecipato a discussioni che affrontavano la necessità di valorizzare maggiormente la voce delle donne nei processi decisionali ecclesiali, pur rispettando la distinzione dei ministeri ordinati.

Sul tema dell’ambiente, il cardinale ha mostrato una particolare sensibilità, ispirata dall’esperienza diretta in una regione dove le risorse naturali sono scarse e preziose. Ha evidenziato come il deterioramento ambientale della Terra Santa sia anche una questione di giustizia sociale e di pace, sottolineando che non si può separare la cura del creato dalla dignità delle persone.
L’uomo della crisi permanente
Pizzaballa dà l’impressione di una forza non sta nelle posizioni dottrinali, ma nella capacità di gestire situazioni impossibili. La sua giornata tipo a Gerusalemme significa mediare tra comunità che a stento si parlano, gestire crisi umanitarie, trovare risorse per ospedali e scuole, e mantenere aperto il dialogo con tutte le parti.
In un’intervista a Vatican News, ha dichiarato: “La questione di Gerusalemme non è chiusa e attende una soluzione che tenga conto delle varie sensibilità non solo politiche ma soprattutto religiose, dove cristiani, ebrei e musulmani abbiano uguale cittadinanza”.
Il cardinale della Terra Santa non è un rivoluzionario, ma un riformista prudente. Non ama i gesti eclatanti, preferisce il lavoro paziente del tessitore. Se dovesse salire al soglio pontificio, porterebbe con sé l’esperienza concreta di chi ha vissuto in prima linea i drammi e le speranze del nostro tempo. Un uomo che ha imparato a parlare molte lingue, non solo nel senso letterale, ma nel senso più profondo di saper dialogare con mondi diversi. Un pontefice che conosce il prezzo della pace perché ha visto da vicino, troppo da vicino, il costo della guerra. E oggi, per la Chiesa, potrebbe non essere poco.