Bossetti, via al mega-ricorso per scongiurare l’ergastolo: "E ora dovete ascoltarci"

Bergamo, 595 pagine contro Dna e ricostruzione

Gli avvocati Claudio Salvagni e Paolo Camporini

Gli avvocati Claudio Salvagni e Paolo Camporini

Bergamo, 30 novembre 2017 - Seicento pagine (595 per l’esattezza) articolate in 21 punti e con allegato un cd, aperte da un incipit polemico: «In questo processo speriamo di essere maggiormente ascoltati non solo noi ma anche l’imputato». È il monumentale ricorso in Cassazione a cui Massimo Giuseppe Bossetti affida le residue speranze di affrancarsi dall’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio.

I difensori Paolo Camporini e Claudio Salvagni, accompagnati dal consulente Sergio Novani, lo hanno depositato ieri a mezzogiorno alla cancelleria del tribunale di Como. La richiesta alla Suprema Corte è che venga annullata la sentenza con cui, lo scorso 17 luglio, la Corte d’Assise d’appello di Brescia ha confermato il carcere a vita per il muratore di Mapello. Il Dna rimasto sugli indumenti della piccola vittima, pietra miliare della condanna (prova “inconfutabile”, coincide con quello di Bossetti), è anche l’architrave difensivo. I legali sottolineano ancora una volta l’anomalia dell’assenza del Dna mitocondriale (che individua la linea materna) dell’imputato. Si chiedeva una nuova perizia. Nella sentenza redatta dal presidente Enrico Fischetti la risposta è che sarebbe inutile e comunque impossibile perché «quello che è certo è che non vi sono più campioni di materiale genetico in misura idonea a consentire nuove amplificazioni e tipizzazioni». La difesa replica che è vero il contrario. Richiama, con il verbale di udienza, quanto dichiarato il 20 novembre 2015, in Assise a Bergamo, dal genetista milanese Giorgio Casari, teste dell’accusa: «Avendo preso in carico tutti i Dna, che abbiamo ancora al San Raffaele, quindi ovviamente questi sono a disposizione, li abbiamo ancora tutti, non abbiamo finito nessuna aliquota. Quindi tutto quello che noi abbiamo usato negli stessi tubi c’è ancora materiale per ulteriori indagini volendo».

La difesa contesta dalle fondamenta la ricostruzione medico-legale fino al tempo di permanenza del cadavere nel campo di Chignolo d’Isola dove viene ritrovato, il 26 febbraio 2011, a tre mesi esatti dalla sparizione della tredicenne di Brembate di Sopra. I reperti, a cominciare dagli indumenti della piccola vittima, non sono mai stati mostrati alla difesa, che è stata lesa così nei suoi diritti. Secondo la sentenza, le tracce biologiche sugli slip sono contestuali all’azione omicidiaria dal momento che esiste una corrispondenza “topografica” fra la traccia 31 G 20 sugli slip e le tracce 62-2 e 62-3 sui leggings. Per la difesa non è vero. La traccia biologica è stata impressa quando gli slip sono stati portati davanti, così come sono stati trovati, spostati e attorcigliati. Il giubbotto era chiuso e indossato normalmente, non è stato sollevato dall’assassino. Le scarpe erano slacciate. Tutti elementi che inducono la difesa a riformulare la tesi che Yara è stata colpita, spogliata e rivestita altrove e solo in un secondo tempo trasportata nel campo. È contestata la sicurezza con cui la traccia sul corpo viene ricondotta a sangue. Ogni antenna telefonica ha tre settori (con tre direzioni diverse). La sentenza confonde fra antenne e settori.