FRANCESCO DONADONI
Cronaca

’Ndrangheta nella Bergamasca, coi soldi sporchi sui bus: 33 arresti

L’accusa è di associazione per delinquere tramite usura, riciclaggio e reati fallimentari. Fatture false per 20 milioni

Un fermo immagine dell’operazione condotta da carabinieri e guardia di finanza

È la conferma che la ‘ndrangheta da tempo aveva messo le radici nella Bergamasca. Terreno fertile che la famiglia del clan Area di Isola Capo Rizzuto (Crotone) ha saputo "coltivare" per i propri affari. Il denaro sporco da riciclare viaggiava tra i bagagli dei pullman di linee a basso costo che collegano il sud al nord, dalla Calabria alla Lombardia. Una volta a destinazione che fine facevano? A scoprire il vaso di Pandora sono stati i carabinieri del Comando provinciale di Bergamo e i colleghi della Guardia di finanza che hanno eseguito 33 ordinanze di custodia personali - chi in carcere chi ai domiciliari - emessa dal gip del tribunale di Brescia, Carlo Bianchetti, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia della procura bresciana.

Gli indagati (in totale sono oltre una sessantina) devono rispondere a vario titolo di associazione per delinquere, con l’aggravante di aver agevolato le attività della cosca ‘ndranghetistica Arena del crotonese, in relazione a condotte di usura, ricettazione, riciclaggio, favoreggiamento, reati tributari e fallimentari. Sequestrati oltre 6,5 milioni di euro. Le indagini, coordinate dalla Dda della procura di Brescia e originariamente svolta dai carabinieri di Bergamo, erano scattate a seguito dell’incendio doloso nella notte del 6 dicembre 2015 nel piazzale adiacente all’azienda Ppb servizi e trasporti a Seriate e intestata a Antonio Settembrini (indagato).

Il rogo aveva danneggiato 14 tir dell’impresa che operava nel settore dell’autotrasporto di prodotti ortofrutticoli. Settembrini ai carabinieri aveva da subito messo in relazione all’incendio la figura di Giuseppe Papaleo (in carcere) all’epoca amministratore della Mabero, società concorrente della Ppb. E le indagini effettivamente avevano fatto emergere che il mandante dell’incendio ai tir di Settembrini era proprio Papaleo, con precedenti, in collegamento con la ‘ndrina di Isola Capo Rizzuto. A sua volta Settembrini, in difficoltà economiche si sarebbe rivolto a soggetti appartenenti alla ‘ndrangheta per cercare di volgere a suo favore il conflitto con Papaleo. E qui entra in campo la figura di Carmelo Caminiti e il suo gruppo criminale che si dedica al recupero di denaro attraverso estorsioni, e in particolare a favore della ditta Fratelli Santini (finiti a processo e condannati), ditta bergamasca, concorrente di Settembrini. Il riciclaggio avveniva tramite un giro di fatture false per oltre 20 milioni. Questo sarebbe stato realizzato dal sodalizio mediante almeno 7 società "cartiere". Dall’inchiesta sarebbe emerso il coinvolgimento di un funzionario dell’Agenzia delle Entrate, destinatario di misura cautelare personale per l’ipotesi di corruzione.