IL LIBRO DE IL GIORNO DI GENNARO MALGIERI Il sindacalismo rivoluzionario. Come nacque, dove finì

Il sindacalismo rivoluzionario è il movimento politico più fecondo del secolo scorso, ma il più trascurato di Gennaro Malgieri

Il libro de Il Giorno di Gennaro Malgieri

Il libro de Il Giorno di Gennaro Malgieri

Milano, 23 ottobre 2015 - IL SINDACALISMO rivoluzionario è il movimento politico più fecondo del secolo scorso, ma il più trascurato. Se si eccettua la ristretta cerchia degli studiosi, non ha avuto grande fortuna nemmeno presso il pubblico colto eppure da esso germinò in parte il fascismo, in parte l’anarco-sindacalismo e perfino una cospicua componente del Partito comunista. La vicinanza con il nazionalismo di Corradini lo rese una specie di ircocervo, tanto che alcuni dei suoi esponenti passarono alle “camicie azzurre” senza rinnegare le origini rivoluzionarie e “sovversive”. L’influenza del sindacalismo - che ebbe in Georges Sorel il massimo teorico e in Italia in Filippo Corridoni il suo eroe (cadde ventottenne esattamente cento anni fa in battaglia sul Carso) - è innegabile nel dannunzianesimo fiumano: la Carta del Carnaro, prima Costituzione del Novecento, fu redatta da Alceste De Ambris, capofila di quella “banda” di eretici del socialismo, del quale il Comandante si fidava ciecamente. Soprattutto, come scrive Giorgio Volpe nel suo pregevolissimo libro “La disillusione socialista”, da qualunque lo si guardi, il sindacalismo rivoluzionario “espresse la crisi e le inquietudini del suo tempo”, sia pure in modo tutt’altro che unitario. Infatti la frammentazione del movimento, dovuta a sensibilità personali e ad orientamenti teorici diversissimi dei suoi maggiori esponenti, ne fecero un movimento assai composito votato più alla sensibilizzazione delle masse verso i tempi nuovi che caratterizzavano la questione operaia che a fornire un corpus dottrinario coerente agli inquieti socialisti insofferenti verso il riformismo, ma neppure completamente appagati dal massimalismo che spesso non disdegnava le compromissioni con il parlamentarismo ed il “carrierismo” politico. Molto acutamente, Volpe, indagando il sindacalismo rivoluzionario, conclude che esso, contrariamente a quanto si è generalmente portati a credere, ha le sue origini nell’Italia meridionale, ed in particolare in quella fucina di ingegni che fu Napoli tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, in particolare nella sua università dove si formarono molti dei migliori teorici che avrebbero sottoposto ad una critica serrata il marxismo. Dai primi successi del 1904 allo spegnersi sul finire del decennio, dalle evoluzioni radicali - antimilitaristi che finiscono per diventare interventisti - alla rifondazione di un’Unione con l’ambizione di contendere alla vecchia sinistra il monopolio rivoluzionario, il percorso che Volpe delinea è quello di una politica nuova che tuttavia non riesce a trovare sbocchi decisivi anche se la semina di alcuni sindacalisti - Labriola, Dinale, Olivetti, Corridoni, Mantica, De Ambris, Leone (forse il maggior teorico), Mocchi, Panunzio - risulterà particolarmente incisiva nella formazione del primo fascismo e nel più complessivo superamento del classismo nell’idea di nazione. GIORGIO VOLPE - La disillusione socialista - Edizioni di Storia e Letteratura