Storytelling: cos’è? 5 domande e 5 risposte con l'esperto Simone Bramante

Cos’è lo storytelling? Ecco le risposte di Simone Bramante, il fotografo professionista italiano più seguito su Instagram con 750mila follower di DANIELE MONACO

Simone Bramante (foto da Instagram @Brahmino)

Simone Bramante (foto da Instagram @Brahmino)

Milano, 14 aprile 2016 – Come tecnica di comunicazione sul web è la parola più in voga del momento ed è un'abilità sempre più richiesta. “Lo storytelling per un soggetto significa farsi raccontare da storie in una linea temporale, un concetto che è possibile applicare a persone e aziende”. Lo dice Simone Bramante, il fotografo italiano professionista (LEGGI L'ARTICOLO) più seguito su Instagram (GUARDA LE FOTO) (il suo profilo “Brahmino” conta 750mila follower). Lui, fotografo pubblicitario e direttore creativo, ne ha fatto il claim del proprio lavoro: “Storytelling, first”, riporta l’home page del suo sito d’agenzia Epiclanes. Con questa tecnica Bramante ha aperto insieme ad altri collaboratori anche un profilo di successo su Instagram dedicato nientemeno che al nostro Paese: "What Italy is".

Bramante, cosa significa storytelling? “Significa porre una foto in una linea temporale e raccontare una storia che può essere la vita di un essere umano o i valori di un brand collegati a esperienze vissute davvero. Per questo motivo lo storytelling deve essere unito da un filo interno coerente nei contenuti e nello stile perché è legato alle aspettative che il pubblico si è creato su un determinato profilo che segue con interesse. I follower sono dunque il vero 'committente' di un lavoro di storytelling”.

È un concetto legato al web 2.0? “Assolutamente sì. Come ‘linea del tempo’ sui social network, la vita stessa di un utente è diventata un piano editoriale. Se questo è diventato vero per le persone, lo stesso succede per le aziende, tanto che possiamo concordare con l’affermazione che (cito) ‘l’ad di un’azienda deve essere un caporedattore’".

Come questa modalità di comunicazione ha cambiato il mondo della pubblicità? “Visione e valori di un marchio non vengono più comunicati con l’affissione, ad esempio, ma attraverso il rapporto diretto con le persone. Da qui nasce la volontà di raccontare esperienze. La foto intesa come scatto di un prodotto non emoziona tanto quanto raccontare una storia. Il pubblico, committente reale, si aspetta che il fotografa fornisca un certo tipo di immagine coerente con un insieme di valori culturali. Se non riesco a collocare un prodotto nel contesto di un’esperienza vuol dire che non fa parte del mio mondo. Ogni  profilo ‘influente’ su Instagram deve quindi prendersi cura dei propri follower, che si tratti di un’azienda, un fotografo o una star della moda, ad esempio”.

Esiste un problema nel rapporto fra estetica e messaggio? “Di sicuro lo stile è sempre da curare: a volte si tratta di una gabbia ma attribuisce anche una certa riconoscibilità nello stile delle proprie immagini. Il registro linguistico su un determinato canale è importante per non perdere l’identità”. Perché questa tecnica è diventata così utile per comunicare sui social network? “Dopo un primo periodo di espansione entusiastica i social network come Facebook e Instagram si sono strutturati. Ora grazie a un algoritmo viene data più evidenza ai contenuti più popolari, rispetto al semplice criterio cronologico. Pertanto i 'social' sono diventate piattaforme in cui le aziende investono per migliorare la propria comunicazione. Si badi bene, però: questo non significa che per un giovane fotografo di oggi sia più difficile emergere rispetto a 5 anni fa. Quello che conta sono le idee”. daniele.monaco@ilgiorno.net

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