Formation World Tour, Beyoncé esalta San Siro fra costumi, piscina e monolite / FOTO

Beyoncé incanta la platea di San Siro lo spettacolo con tanto di monolite, cambi d'abito e la grinta di chi è diventata una delle voci più autorevoli e ascoltate della nazione a stelle e strisce

L'enorme monolite di 20 metri al concerto di Beyoncè

L'enorme monolite di 20 metri al concerto di Beyoncè

Milano, 19 luglio 2016 - Nell'America di Hillary & Trump l’impegno politico ha gli occhioni da Bambi di quella Beyoncé piovuta ieri sera nel cuore in tumulto di San Siro con un Formation World Tour che parla di riscatto, di resistenza femminile e devozione familiare con un’ambizione molto più alta del kolossal pop: trasformare la cantante texana in un modello sociale e culturale davanti alla crescente marginalizzazione delle donne nere sulla scena sociopolitica americana.ù

A 34 anni l’ex automa delle Destiny’s Child s’è trasformato, grazie un’incredibile operazione di marketing costruita sulle sue attività umanitarie e sull’omaggio a Malcom X durante l’intervallo della finalissima di Super Bowl per ricordare gli abusi della polizia sugli afroamericani, in una delle sue voci più autorevoli e ascoltate della nazione. Il colpo di rasoio delle stragi di agenti a Dallas e Baton Rouge, le brutalità della polizia in Minnesota e Louisiana hanno fatto il resto, sottraendo lo spettacolo dall’aura familiare in cui l’aveva confinato l’ultimo album “Lemonade”, imperniato sul tradimento che due anni fa aveva fatto vacillare il matrimonio della cantante con il sovrano del rap Jay-Z, per caricarlo di nuovi significati.

Improvvisamente ci si è accorti che quelle canzoni di rabbia e orgoglio ferito stavano parlando di qualcosa di molto più grande di quel che affiora dai costumi, dalle coreografie ai piedi del gigantesco schermo-monolite alto venti metri che ruota al centro della scena e che il retrogusto amaro di questa limonata pop servita da Miss Knowles non è solo l’infedeltà suo famosissimo del marito, ma il dolore e la disperazione delle madri, delle nonne, delle sorelle che hanno perso un loro congiunto sui marciapiedi dell’odio.

Cappello bolero a falda larghissima su abito nero, lei si materializza assieme al suo corpo di ballo sulle note di “Formation” per poi proseguire con “Sorry” tra i meandri del nuovo album che nella versione visuale lega i diversi momenti con i versi della giovane poetessa anglo-somala Warsan Shire imperniati sulla vita nei centri di espulsione e il dramma dei rifugiati. Una mezza dozzina i cambi d’abito, a cominciare da quello di lattice rosso-fuoco e gli stivaloni sopra il ginocchio con cui Beyoncé canta “Crazy in love” , e qualche effetto sorprendente come la vasca rettangolare in cui sgambetta “Freedom” come ad agosto in una fontana del Central Park. “I slay” grida ai 55mila (con biglietti lievitati al mercato parallelo anche a 1600 euro) appena entrata in scena confermando di non essere lì per scherzare, ma per “uccidere”. E “Hold up”, col pensiero al maritino, non fa prigionieri (“chi c… credi che sia? Non hai sposato una str… qualunque, ragazzo / Sono un drago che alita fuoco e fiamme, sono una leonessa / Bell’uomo, so che stai mentendo… Se ci riprovi, perderai tua moglie” ruggisce durante “Don’t Hurt Yourself” tra lingue di fuoco).

Ma nel pugno c’è la rosa. E nel finale arriva una “Halo” dedicata a piedi nudi, capelli bagnati, e con lo sguardo innamorato “all’unica persona che voglio… la mia grazia salvifica… tutto quello di cui ho bisogno e di più”. Santa subito.

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