Massimo Fini, la libertà di un anticonformista

È stato scritto, in occasione dell’uscita della sua autobiografia, che se Massimo Fini non fosse stato quello che è stato sarebbe diventato il più grande giornalista italiano della sua generazione di Gennaro Malgieri

Il libro de Il Giorno di Gennaro Malgieri

Il libro de Il Giorno di Gennaro Malgieri

Milano, 13 marzo 2015 - È stato scritto, in occasione dell’uscita della sua autobiografia, che se Massimo Fini non fosse stato quello che è stato sarebbe diventato il più grande giornalista italiano della sua generazione. Non ci convince l’apodittica asserzione per il semplice fatto che non vi è prova del contrario che la sostenga. Si tratta di un punto di vista e nulla di più. Come il nostro che è diametralmente opposto. E cioè che Fini è stato ed è (almeno fino a quando i suoi occhi malandati gli permetteranno di scrivere) un eccellente giornalista la cui dote migliore è, ancora oggi, a settant’anni suonati, il coraggio intellettuale che si sposa con un innato anticonformismo. Da questa miscela “esplosiva” per alcuni è venuto fuori lo scrittore, il commentatore, l’analista, l’inchiestista che in circa cinquant’anni di professione abbiamo conosciuto. Perciò ha suscitato grandi clamori, pervicaci antipatie, ma anche tanta ammirazione perfino in chi non ne ha condiviso la visione del mondo e della vita più che il suo singolare modo di praticare il giornalismo, vale a dire senza ossequi di sorta nei riguardi di nessuno.

Fini si è tenuto a debita distanza dai salotti della finanza e dai lupanari della politica, in cui si decidono le “brillanti carriere” e si attribuiscono immeritate direzioni giornalistiche. Ha evitato di compiacere i potenti alla stessa stregua di come ha disprezzato i luoghi comuni della storia e del pensiero. Ha scelto di essere libero rimettendoci il più delle volte le penne, ma non la penna o la portatile. Ha preferito recarsi sul campo per raccontare le convulsioni contemporanee evitando facili scopiazzature da riproporre nei talk show televisivi dove non è mai stato amato. Si è ingegnato nel descrivere le nefandezze della religione della Ragione ed i profili impresentabili di uomini come Catilina e Nerone, guarda caso poi diventati presentabilissimi da parte di storici accademici. Si è innamorato di Nietzsche, ma senza indulgenze ne ha tratteggiato il profilo umano solitamente ignorato. È stato, senza se e senza ma come si dice oggi, dalla parte dei “vinti”, incurante dei guai che ne sarebbero derivati. E quando alcuni grandi giornali lo hanno blandito, corteggiato, cercato di comprarlo ha semplicemente risposto di non essere in vendita se oltre al suo talento avrebbero voluto appropriarsi anche della sua anima. E poi gli amori e le amicizie, il gioco e la dissipazione, le passioni, i tradimenti, le illusioni e la tenerezza verso tutti i perdenti (tra i quali annovera ovviamente anche lui stesso) sono le tessere di una personalità complessa che, come un grande poeta, può confessare di aver vissuto. Fini non ha attraversato una vita, come recita il titolo di questo suo avvincente libro, ma molte vite in una e tanto basta a fargli rispondere alla domanda cruciale che si pone al punto in cui è arrivato nell’unico modo possibile: la sua esistenza ha avuto il senso che egli è riuscito a dargli. Nietzscheanamente, è ovvio.

MASSIMO FINI, Una vita. Un libro per tutti. O per nessuno, Marsilio