"Mais contaminato negli impianti a biogas" e Terre Nostre presenta l’esposto

L’associazione “Terre Nostre Lombardia” ha presentato 26 esposti in altrettante Procure del Nord Italia. Fra queste, c’è anche Lodi, visto che la provincia è uno dei territori con più alta incidenza di impianti agricoli alimentati a biogas

Impianto biogas (Afp)

Impianto biogas (Afp)

Lodi, 28 settembre 2014 - L’associazione “Terre Nostre Lombardia” ha presentato 26 esposti in altrettante Procure del Nord Italia. Fra queste, c’è anche Lodi, visto che la provincia è uno dei territori con più alta incidenza di impianti agricoli alimentati a biogas. Denunciati, nell’esposto degli ambientalisti, circa cento soggetti firmatari e aderenti all’intesa di filiera firmata dagli assessori delle regioni Lombardia, Emilia Romagna e Veneto nel marzo del 2013. Secondo l’associazione, questo provvedimento avrebbe infatti «favorito e consentito lo scambio del mais contaminato dalle aflatossine tra stoccatori/produttori di mais e proprietari/gestori degli impianti a biogas». Le aflatossine, micotossine prodotte da specie fungine appartenenti alla classe degli “ascomiceti”, «sono considerate altamente tossiche e riconosciute tra le sostanze più cancerogene esistenti».

Ebbene, queste microtossine hanno avuto una incidenza record nell’estate del 2012, a causa delle eccezionali condizioni climatiche. Con risultati disastrosi sulla qualità dei raccolti di mais in molte importanti aree di coltivazioni. «Da fonte Istat — accusa l’associazione ambientalista — risulta che nel 2012, nelle sole regioni Lombardia, Veneto e Emilia Romagna, la produzione di mais è stata di 4.640.000 tonnellate, di cui circa il 60% (2.700.000 tonnellate) è risultato contaminato da aflatossine. Vista la conclamata “emergenza aflatossine” nel mais dei raccolti del 2012, il ministero della Salute, d’intesa con il ministero delle Politiche agricole, ha diffuso “procedure operative straordinarie per la prevenzione e la gestione del rischio contaminazione da aflatossine nella filiera lattiero-casearia e nella produzione del mais destinato all’alimentazione umana e animale, a seguito di condizioni climatiche estreme”. Tali procedure sono rivolte alle autorità di controllo e agli operatori del settore mangimistico e alimentare e a tutte le aziende che raccolgono, stoccano, essicano il mais, al fine di impedire la sua possibile immissione della catena alimentare e mangimistica, in ossequio alla normativa europea».

Però, secondo Terre Nostre «il Ministero chiarisce che per garantire la tutela della salute pubblica, i prodotti con contenuto di aflatossine oltre i limiti massimi stabili, non devono essere commercializzati né impiegati come ingredienti di altri alimenti o usati nella alimentazione animale, e non possono essere diluiti con mais a minor contaminazione per renderli conformi». Ma, dopo aver presto questi provvedimenti in ossequio al principio della “precauzione” in presenza di studi scientifici che attestano l’estrema tossicità delle aflatossine per la salute pubblica, il Ministero consente a chi stocca mais infetto di venderlo in modo da usarlo come combustibile negli impianti a biogas. Come? «Nell’intesa di filiera del marzo del 2013 — accusa Terre Nostre — le Regioni in difformità alla normativa comunitaria e nazionale e in palese discordanza alle linee guida del ministero della Salute, hanno sottoscritto l’intesa di filiera al fine di trovare uno sbocco commerciale al mais contaminato e agevolarne lo scambio tra operatori».

Risultato? «Nonostante il divieto di commercializzazione del mais pericoloso per la salute pubblica, hanno posto in atto il predetto scambio vietato, hanno usato il mais nei processi di digestione anaerobica e hanno poi sparso il digestato sui terreni, con concreto pericolo di reingresso delle sostanze pericolose nella catena alimentare, posto che studi scientifici hanno attestato che il processo non è in grado di eliminare del tutto le aflatossine presente nel mais». Terre Nostre Lombardia, oltre a denunciare la mancanza di controlli, punta il dito sul fatto «che il mais contaminato, una volta giunto nell’impianto di biogas, non viene immediatamente utilizzato nel processo, rimanendo invece stoccato per un tempo indeterminato magari proprio accanto alle strutture destinate al ricovero di animali da macello o da latte o alle strutture di stoccaggio dei mangimi. Il pericolo di contaminazione è evidente».