"Non lasciatemi sola con i miei incubi". Mamma Edlira si confida in una lettera

In carcere a Castiglione delle Stiviere ha ricevuto la visita di monsignor Cecchin e don Bertocchi

Edlira Copa con la figlia più piccola

Edlira Copa con la figlia più piccola

Lecco, 12 marzo 2016 -  «Non abbandonatemi, da sola non posso farcela». È un grido di dolore, ma anche un appello, anzi, una richiesta di aiuto quello di Edlira Copa, che la notte del 9 marzo 2014 a Chiuso ha ucciso quelle che definiva le «gioie della sua vita», le figlie Sidny di appena 3 anni, Keisi di 10 e Simona di 13. Lo ha affidato nelle mani e nella voce di monsignor Franco Cecchin, il prevosto di San Nicolò di Lecco, a cui ha inviato un’accorata lettera proprio in concomitanza con il secondo anniversario della strage. Il reverendo, insieme al parroco del rione di Maggianico don Adriano Bertocchi, periodicamente si reca a trovarla a Castiglione delle Stiviere, dove è attualmente internata perché, pur essendo stata ritenuta incapace di intendere e volere avendo agito in preda ad un raptus e quindi non imputabile né condannabile, è stata considerata pure socialmente pericolosa. Con i due sacerdoti la vanno a trovare anche le due sorelle.

«Si è resa conto della terribile azione contro natura che ha commesso – riferisce il reverendo -. Vorrebbe tornare indietro nel tempo, sacrificare la propria esistenza per la loro, ma sa che ciò non è possibile. Le mancano moltissimo, prova un vuoto incolmabile». Si tratta di un percorso umano e terapeutico difficile e penoso di cui percepisce tutta la fatica. «Ci chiede di aiutarla e di non lasciarla sola – prosegue il prelato -. Ha bisogno di persone che le testimonino la Misericordia di Dio a cui si sta avvicinando, di persone che siano capaci di accoglienza, non di giudizio». Nonostante il peso di ciò che lei stessa ha compiuto, grazie a chi le sta vicino e agli operatori che la seguono e la assistono, lentamente si sta riprendendo, cerca di socializzare con le altre madri che come lei hanno reciso la vita che hanno generato e di rendersi utile per come può. Il rischio che possa nuovamente soccombere allo sconforto e al dramma della strage di cui si è resa responsabile è tuttavia ancora pressante, come avvenuto quando era detenuta al Bassone di Como, dove ha tentato un gesto estremo. Per questo è comunque tenuta sotto stretta osservazione. Uno dei suoi desideri è quello di poter salutare per l’ultima volta le «gioie della sua vita», di piangere sulla loro tomba a Kukes, in Albania, dove riposano per sempre. Ma è presto, troppo presto per pensarci, prima deve imparare a convivere con quel vuoto che lei stessa inconsapevolmente ha provocato.