Il piccolo Vajont di Tavernerio, ritorno nei luoghi della tragedia

Visite con un geologo per non dimenticare i sedici morti del 1951

L'alluvione del 1951

L'alluvione del 1951

Tavernerio (Como), 26 febbraio 2017 - «Da qualche giorno si era formata una crepa nella roccia, ma nessuno in realtà ci aveva fatto molto caso». Era l’8 novembre del 1951, pioveva da un mese a Tavernerio. Bruno aveva 14 anni. Ricorda il rumore del Cosia, che «fa ancora paura quando caccia». «Quando è scesa la frana ha fatto viaggiare la cascina del Poe sopra quella del Gianmario. L’ammasso di terra è finito nel fiume, bloccandolo. Chi era a valle di colpo ha visto che nel torrente non c’era un filo d’acqua. Quando è tracimata, l’onda ha spazzato via ogni cosa». L’orologio segnava le 19.30. Furono 16 i morti, fra cui cinque bambini. Fra le vittime c’era anche l’Enrico, un omone. «Quando lo incontravamo ripeteva sempre ‘fruch e tera cuatum sott». E non capivamo mai il perché. È morto così», ricorda Bruno. Gianmario, il postino, si era fermato per gli straordinari, è stato salvato dal lavoro. Una donna venne trovata nel lago di Como, di un bimbo si persero le tracce. Nelle case che si affacciano sul fiume erano tutti a tavola, fu un piccolo Vajont. Le immagini vennero trasmesse dalla Settimana Incom, al cinegiornale.

Per tanti anni, dopo i funerali, nelle case non si parlò della tragedia. «Fu un anno critico per tutto il Nord Italia – ricorda Paolo Dal Negro, geologo -. A Tavernerio il dissesto è stato favorito dall’assetto locale del torrente e dalla composizione della montagna che è alle spalle del paese. Per le forti piogge la roccia ha ceduto, un piano è scivolato sopra l’altro è ha creato questo sbarramento. C’è un fatto che mi ha fatto riflettere: le operaie raccontavano che verso le 18 passarono sul ponte, non c’era più acqua. Si domandarono come fosse possibile, vista la pioggia in abbondanza, ma non c’è stato il collegamento, non ci si domandò cosa fosse successo a monte. La coscienza di quanto accaduto ci permette di mantenere viva l’attenzione attorno al Cosia, di compiere quell’azione di monitoraggio del territorio necessaria». La vita di Tavernerio è sempre stata legata al suo fiume, che ai tempi veniva chiamato «la Cosia», al femminile. «L’assetto del territorio è lo stesso, oggi abbiamo i mezzi per fronteggiare il rischio idrogeologico, ma serve impegno e attenzione continua», sottolinea il geologo che oggi, insieme ad alcune associazioni della Brianza e al Comune, tornerà in quei luoghi per una visita guidata nel cuore e nella storia di Tavernerio.