Strage della Loggia, ci sono i colpevoli. Il sindaco: "È la vittoria di tutta la città"

Il risveglio a Brescia dopo la sentenza, tra commozione e incredulità

L’ultima commemorazione nella piazza (Fotolive)

L’ultima commemorazione nella piazza (Fotolive)

Brescia, 22 giugno 2017 - Emozione, sollievo, incredulità. Ci sono voluti 43 anni, ma finalmente uno dei misteri italiani ha un verdetto definitivo: la strage di piazza Loggia che il 28 maggio 1974 provocò la morte di Giulietta Banzi Bazoli, Clementina Calzari Trebeschi, Livia Bottardi Milani, Alberto Trebeschi, Euplo Natali, Luigi Pinto e Vittorio Zambarda, ha dei colpevoli. Carlo Maria Maggi, medico veneziano leader carismatico di Ordine nuovo del Triveneto, considerato il deus ex machina dell’attentato, e fonte Tritone-Maurizio Tramonte, l’ex infiltrato del Sid, i servizi segreti dell’epoca.

Maggi, oggi 82enne e in precarie condizioni di salute (è in sedia a rotelle) difficilmente finirà in carcere. Per lui è probabile si profili una detenzione domiciliare. Ma Tramonte, 65 anni, una vita ultimamente trascorsa alla luce del sole da agente immobiliare a Brescia, habitué dei bar del centro, dietro le sbarre ci è già finito: è stato arrestato ieri all’ora di pranzo a Fatima, in Portogallo. Nel corso della notte e in mattinata si era sparsa la voce fosse irreperibile, ma il suo avvocato smentisce: «Era laggiù per pregare - spiega Marco Agosti -. Nessuna fuga. A Pasqua aveva fatto un pellegrinaggio a Lourdes, ora era in Portogallo da uomo libero. Chiedeva un miracolo alla Madonna».

Tra chi è ancora incredulo, e per 43 anni ha portato sulle spalle il peso della ricerca incessante della verità, da portavoce della Casa della Memoria e dei familiari delle vittime, c’è Manlio Milani. «C’è ancora molto da disvelare, ma oggi sappiamo un po’ di più: uomini dello Stato hanno sconfitto altri uomini dello Stato. E i morti finalmente potranno risposare in pace». Non trattiene la commozione nemmeno Alfredo Bazoli, figlio di Giulietta Banzi, oggi deputato del Pd: «Il mio pensiero va a mia madre - dice -. È un momento importante per noi, per il Paese e per la democrazia». Il verdetto definitivo, arrivato dopo tre istruttorie e 11 processi, con due passaggi in Cassazione, è «la vittoria di tutta la città che testardamente ha cercato la verità processuale - sottolinea il sindaco Emilio Del Bono - Altre comunità che hanno vissuto le ferite del terrorismo hanno trasformato il dolore in odio, qui si è lavorato insieme alla costruzione di anticorpi contro la violenza, che serviranno alle future generazioni».

L’assessore comunale Marco Fenaroli, delegato alla Casa della Memoria, la mattina della bomba era in piazza e martedì a Roma in Cassazione: «La requisitoria del pg Alfredo Viola ha smentito le difese che erano sempre riuscite ad evitare l’attribuzione di responsabilità. È stato un lavoro corale con magistratura, forze politiche e sindacali in un’unione di intenti. Ora la democrazia è più forte».