Maja e la giungla di società La verità è nei telefoni

Disposta una consulenza: si cercano contatti anomali nel suo smartphone. L’uomo che ha massacrato la famiglia trasferito all’ospedale San Paolo di Milano

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di Andrea Gianni

Alessandro Maja è stato trasferito all’ospedale San Paolo di Milano, per alcuni interventi su ferite e ustioni riportate nel tentativo di togliersi la vita dopo aver massacrato moglie e figli nella villetta della famiglia in via Torino a Samarate. È chiuso nel silenzio, chiede informazioni sulla sorte del figlio Nicolò (unico superstite e ancora ricoverato in ospedale in gravi condizioni), non avrebbe fornito spiegazioni sull’esplosione di violenza e "sull’ossessione per i problemi economici" già delineata al gip Piera Bossi nel corso dell’interrogatorio di garanzia alla presenza del suo difensore, l’avvocato Enrico Milani. Per lui, una volta terminati gli interventi e una valutazione sulle sue condizioni psichiche, potrebbero aprirsi le porte del carcere. Per fare chiarezza su un massacro senza un movente ben definito la Procura di Busto Arsizio ha disposto una consulenza su tutti i telefoni cellulari della famiglia, e in particolare sullo smartphone di Alessandro Maja. Sotto la lente, scavando nella memoria dei dispositivi, chiamate ricevute ed effettuate nei giorni e nelle settimane precedenti alla strage, documenti, file e scambi di messaggi. Si cercano eventuali contatti anomali nel puzzle delle relazioni di Maja, professionali o slegati dal lavoro, per comprendere che cosa lo avesse spinto da qualche tempo in quello stato di ansia e prostrazione che aveva impensierito i familiari.

I problemi del suo studio di progettazione, che stava attraversando un periodo di difficoltà, forse erano stati ingigantiti dalla sua mente e trasformati in ostacoli insormontabili. Anche nei conti della società costituita nel 2008 insieme alla moglie, la Jam e Vip Srl con sede legale in via Ascanio Sforza 31 a Milano (stesso indirizzo del suo studio), non sembrano emergere particolari anomalie. La società era stata creata per gestire un quadrilocale di proprietà della coppia nella zona dei Navigli, affittato a un bar, che garantiva una rendita di circa 20-25mila euro all’anno. Proprio la moglie, Stefania Pivetta, deteneva la maggioranza delle quote, avendo versato al momento della costituzione ottomila euro su un capitale sociale di diecimila. Forse una decisione presa, all’epoca, per tutelarla. Questo per quanto riguarda i beni della coppia esaminati anche dall’avvocato Stefano Bettinelli, legale dei parenti di Stefania Pivetta, mentre sui conti dell’attività professionale di Maja la situazione è più sfocata. Il geometra aveva infatti una "contabilità parallela", gestiva attraverso un altro commercialista i suoi guadagni e versava una parte alla famiglia per le spese, a seconda delle necessità. Pur essendo un uomo attento al denaro, secondo le testimonianze "non faceva mancare nulla" alla moglie e ai figli Giulia e Nicolò, prima di maturare quelle ossessioni sfociate nella strage.