Caso Macchi, reperti e arma del delitto: due fronti ancora aperti

Le indagini in vista del processo a Stefano Binda. Si cercano tracce di Dna e sostanze organiche sul corpo riesumato mentre sono sospese le ricerche dei coltelli

Lidia Macchi

Lidia Macchi

Varese, 21 dicembre 2016 - Gli esami sulla salma di Lidia Macchi, riesumata lo scorso 22 marzo e al vaglio di un pool di esperti coordinato dall’anatomopatologa Cristina Cattaneo, alla ricerca di tracce sotto le unghe e su un lembo di pelle. È il fronte delle indagini ancora aperto dopo che, lunedì scorso, il gup di Varese, Anna Azzena, ha rinviato a giudizio Stefano Binda, il 50enne di Brebbia arrestato con l’accusa di aver massacrato con 29 coltellate la ragazza, sua ex compagna di liceo, nel gennaio 1987.

Sono state invece sospese le ricerche dell’arma del delitto e di altri elementi utili alle indagini nei boschi del Sass Pinì a Cittiglio, l’area all’epoca frequentata da tossicodipendenti dove fu trovato il cadavere di Lidia. Finora non sono stati rinvenuti coltelli o altro materiale utile, nell’ambito delle attività coordinate dall’archeologo forense Dominic Salsarola, con militari dell’Esercito e agenti della Squadra mobile che hanno passato al setaccio per diversi giorni il terreno, concentrando le ricerche anche in tre ville abbandonate da decenni, in un luogo dall’atmosfera spettrale. Le ricerche al Sass Pinì potranno riprendere in un secondo momento.

Non hanno dato esiti positivi, inoltre, gli accertamenti sui coltelli trovati nel parco Mantegazza di Varese, posto sotto sequestro nei mesi scorsi sulla base di un’ipotesi investigativa ricavata dal racconto di una testimone, all’epoca amica di Lidia e del presunto killer. Binda, infatti, potrebbe aver nascosto l’arma nell’area verde nel rione di Masnago nei giorni successivi al delitto. Ipotesi che, però, finora non ha trovato conferme. Sui vecchi coltelli trovati nel parco non sono state trovate tracce biologiche in grado di collegare le lame al delitto Macchi. L’arma del delitto, quindi, potrebbe rimanere uno dei punti interrogativi ancora senza risposta in un’inchiesta lunga e complessa, anche per il gran numero di anni trascorsi dall’omicidio alla svolta nelle indagini sul cold case, sfociate lo scorso gennaio nell’arresto di Binda.

Per quanto riguarda gli accertamenti sui resti di Lidia, finora gli esperti stanno concentrando gli esami su peli e capelli della ragazza, sepolta trent’anni fa nel cimitero varesino di Casbeno. Da quanto si è saputo non sarebbero ancora iniziati gli accertamenti principali, quelli sulle unghie e su un frammento dell’imene delle ragazza, che secondo gli inquirenti fu costretta a subire un rapporto sessuale prima di essere uccisa.

Si cercheranno tracce di Dna e di sostanze organiche, anche su un anellino che Lidia portava al dito, isolato dai resti. Elementi che potrebbero confermare l’impianto accusatorio a carico di Binda, che il prossimo 12 aprile comparirà davanti alla Corte d’Assise di Varese per la prima udienza del processo, oppure orientare le indagini in altre direzioni. Gli accertamenti potrebbero terminare nelle prossime settimane, prima dell’apertura del processo. In ogni caso la relazione dell’anatomopatologa Cattaneo potrà essere inserita nel fascicolo processuale mentre il dibattimento è in corso, prima della sentenza di primo grado.

"La famiglia Macchi non ha nessuna fretta - spiega l’avvocato Daniele Pizzi, legale dei parenti di Lidia - e chiede che gli accertamenti sulla salma vengano fatti con tutta l’accuratezza necessaria. Se sono rimaste tracce di dna, vanno trovate". Poi la salma verrà restituita alla famiglia, e Lidia tornerà a riposare nel cimitero di Casbeno dove è sepolto anche il papà, Giorgio Macchi.