“Bepi” Bortoluzzi ricorda il legame con Guttuso: "ll mio amico geniale"

Al grande pittore siciliano è dedicata la mostra che apre i battenti a Villa Mirabello

Giuseppe Bortoluzzi brinda ai suoi cent'anni

Giuseppe Bortoluzzi brinda ai suoi cent'anni

Varese, 18 maggio 2019 - Il ricordo degli amici non si affievolisce mai. Nemmeno col passare del tempo. È il caso dello storico notaio varesino Giuseppe Bortoluzzi, 100 anni compiuti lo scorso novembre, e del suo profondo legame con Renato Guttuso, il grande pittore siciliano al quale è dedicata la mostra che apre i battenti oggi a Villa Mirabello. Un’amicizia sincera e duratura, incorniciata dalle verdi bellezze di Velate e dalla casa-studio in cui il maestro visse e lavorò a partire dal ‘53.

“Bepi” Bortoluzzi, partiamo proprio dall’amore di Guttuso per Varese: come nacque?

«Renato era arrivato qui insieme a Mimise Dotti, sua moglie, con l’intenzione di vendere la casa di Velate appartenuta alla nonna di lei. Fu però talmente stregato dal verde delle nostre zone, dalle montagne circostanti, che decise di restare. Per lui si trattava di una realtà nuova da un punto di vista paesaggistico, ma anche stimolante sotto il profilo professionale».

Che tipo era Renato Guttuso?

«Era un uomo molto intelligente, che amava l’arte in tutte le sue forme. La pittura, ovviamente, ma anche la letteratura e la musica. E poi era di un’amabilità rara, educatissimo, davvero ospitale e generoso: nessun formalismo per andarlo a trovare, si suonava il campanello di villa Dotti e si entrava».

Di cosa parlavate?

«Di arte, senza dubbio, e in particolare di letteratura. Dei libri di Elsa Morante, di Moravia. Ricordo anche che aveva una voce splendida: cantava benissimo, a lui piacevano le canzoni popolare siciliane. Con la moglie Mimise, invece, intonavamo canti in dialetto lombardo».

Ha mai manifestato un sentimento di nostalgia per la sua terra?

«Non direi, ormai si era un po’ “lombardizzato”. Poi lui amava davvero Varese, in particolare Velate e il Sacro Monte, dove si incontrava spesso con lo scrittore Elio Vittorini, il cui suocero era proprietario di una casa alla settima cappella. E infatti nel 1983, lungo la Via Sacra, lavorò al grande affresco sulla fuga in Egitto».

Ebbe la fortuna di vedere il maestro all’opera?

«Assolutamente sì. Il suo atelier era sempre aperto agli amici, agli intellettuali che lo andavano a trovare. Si trovava al secondo piano di villa Dotti, uno spazio anche piuttosto piccolo, ma lui non si faceva problemi. Non che si trattasse di una sua scelta particolare, però dipingere in presenza di altre persone non lo infastidiva certo. Col passare degli anni la sua fama crebbe e Guttuso divenne anche un personaggio: le scolaresche del territorio organizzavano visite nella sua casa, lo andavano a trovare. In generale, però, ha sempre conservato una grande affabilità».

Possiede dei ricordi, magari alcuni oggetti, legati alla sua amicizia col maestro?

«Innanzitutto, ho tre suoi quadri: ne avrei voluti di più, ma ai tempi le finanze permettevano questo. Poi possiedo una quarantina di fotografie da me scattate a villa Dotti, gran parte delle quali lo ritraggono all’opera. Infine, sono molto legato a un tappo di champagne sul quale appose la sua firma. Se non ricordo male era il 1959».

Oggi si inaugura la mostra di Villa Mirabello, occasione per rinsaldare i rapporti privilegiati di Guttuso con Varese…

«Ne sono felice, e mi auguro non ci si fermi qui. Da parte mia, nutro per Guttuso un amore irrefrenabile: ricordare quel periodo mi fa davvero molto piacere».