
Arjola Trimi
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«Non mi pongo limiti, del resto non l’ho mai fatto". Il concetto di limite per Arjola Trimi, la nuotatrice azzurra 34enne reduce da due ori e due argenti alle Paralimpiadi di Tokyo, è molto familiare. La carrozzina su cui siede non può che essere un limite da superare per chi cinque giorni alla settimana deve spostarsi in autonomia da casa, all’ufficio, alla piscina (e ritorno) e Arjola non lo nega affatto. "Impiego il doppio del tempo che serve a voi per fare tutto", dice a una platea di ragazzini di prima media carichi di curiosità e orgoglio. Del resto, l’atleta tetraplegica che è salita sul gradino più alto del podio, è una ragazza cresciuta dove stanno crescendo loro. Stesso quartiere: Bruzzano, popoloso rione della periferia nord di Milano. Stessa scuola media: la Umberto Saba, la cui palestra ospita la lezione speciale dell’ex alunna. «A chi fa sport dico che il talento ti può far vincere una volta - le sue parole - ma solo la fatica ti regala grandi risultati. Credetemi. Anzi, continuate a credere in voi anche quando sarete gli unici a farlo. Nessuno pensava che ce l’avrei fatta ad andare a Tokyo per via di un infortunio, solo io ne ero convinta e ho avuto ragione". Una determinazione che le è valsa l’oro nei 50 metri dorso ("il dorso, la specialità che meno mi piace", sorride) e nei 100 stile libero, e due medaglie d’argento, nella staffetta mista 4×50 stile libero e nei 50 stile. Perchè il nuoto? "Perché è l’unica disciplina che posso fare senza carrozzina. Da ragazzina ho fatto atletica, calcio e basket". Prima di scoprire a 12 anni, proprio in seguito a una caduta su un campo di pallacanestro, di essere affetta da una malattia neurologica invalidante: la paralisi a una gamba, poi all’altra. Molto dopo, "quando ho realmente accettato di non poter più contare sulle mie gambe per nuotare, ho iniziato a eccellere e vincere", confessa l’alteta della Polha Varese. Uno scatto mentale che ha richiesto tempo e sofferenza, regalandole la serenità e la concentrazione indispensabili per compiere grandi imprese. Ma anche per affrontare meglio la quotidianità, non meno intensa: gli spostamenti, il lavoro in banca, la famiglia, gli amici e le altre passioni. Perché se è vero che tutta la vita è risolvere problemi, citando il filosofo Karl Popper, allora Arjola è campionessa non solo in vasca. I suoi genitori sono scappati dall’Albania per regalarle un futuro e quelle medaglie riflettono la luce di una scommessa vinta. "Una volta non mi hanno fatto salire su un bus perché i passeggeri non avevano tempo di aspettarmi - il tono della voce si abbassa - e lì ho avvertito il peso della diversità ma lo sport mi ha aiutato a trovare la strada e l’equilibrio". Con talento, fatica e senza porsi limiti.