Scudetto Inter. Conte, Marotta e gli errori bianconeri: i segreti del trionfo

Una vittoria che ha le sue radici in un attento lavoro di programmazione e costruzione del gruppo

Antonio Conte festeggia con i suoi ragazzi

Antonio Conte festeggia con i suoi ragazzi

Milano - Per spiegare lo storico trionfo nerazzurro, è giusto fare un passo indietro. Perché lo scudetto conquistato dopo due lustri di doloroso digiuno è un successo che di fatto parte da lontano. Spostiamo dunque a nord-ovest di Milano, poco più di 100 chilometri. Siamo nella Torino bianconera, dove tre anni fa (più o meno), la gran maggioranza dei supporter juventini dal palato fine e (probabilmente) con la pancia piena, annoiati dalle troppe vittorie di Chiellini e soci si faceva imbambolare dalle critiche di alcuni media riguardanti  quella parolina magica, “il bel giuoco” e abboccava allo storytelling secondo cui uscire ai quarti di Champions League fosse fallimentare per una società con un fatturato fra i primi dieci in Europa.

Parallelamente la dirigenza della Juventus, seguendo lo slogan di Andrea Agnelli "largo ai quarantenni", dava ad inizio autunno del 2018 il benservito a Beppe Marotta e (su consiglio di Pavel Nedved) pieni poteri a Fabio Paratici, quello che una volta era il fidatissimo "pupillo" del direttore generale, infilandosi presto in un tunnel di operazioni “creative” i cui unici obiettivi erano la plusvalenza e il colpo ad effetto (l'onerosissima operazione Cristiano Ronaldo, tenuta nascosta allo stesso Marotta che certamente l'avrebbe bocciata per questioni di bilancio). Mettendo da parte le vere e proprie esigenze tecniche, come fossero solo un fastidioso rumore di fondo. Non solo. Forse perché "abbagliata" come i propri tifosi sulla necessità del “bel giuoco”, o forse semplicemente perché priva di lucidità, la Juventus "ringraziava" Massimiliano Allegri e metteva la squadra nelle mani di Maurizio Sarri. Il quale, con un "lavoro" paziente, meticoloso e certosino, arrivava a sgretolare ogni certezza in chi era abituato da anni a dominare (in realtà il rapporto con l'ex tecnico del Napoli si era sbriciolato dopo appena due mesi di ben poco pacifica convivenza, senza che nessuno si fosse preso la briga di tutelare l'allenatore...)

Poi il colpo di genio: affidare la squadra ad Andrea Pirlo, campione con la palla fra i piedi, però uno che non aveva mai allenato in vita sua. Il resto è storia dei giorni nostri, sotto gli occhi di tutti:  in due anni la Juventus passa dallo scudetto ipotecato già a febbraio, ad essere fuori dalla lotta per il titolo sempre a febbraio (col rischio, ad oggi, di non arrivare neppure tra le prime quattro).

Dall’altra parte, in quello stesso periodo, la Proprietà cinese dell'Inter dopo il primo periodo di complicato ambientamento e scelte non sempre giuste (l'inspiegabile ingaggio lampo di De Boer, la più saggia chiamata di Luciano Spalletti) faceva la cosa più intelligente da realizzare in quel momento: copiare dai migliori. E quindi prendeva proprio Marotta e poi Conte (chiesto a gran voce proprio dal dirigente con cui aveva vinto a Torino). I due insieme costruivano una squadra solida, fondata su difesa solidissima e attenta e micidiale ripartenze con tocchi di prima. L'essenziale del calcio, poche cose fatte bene, puntando sul "contismo", ovvero la cultura del lavoro, la grinta e la determinazione. Niente voli pindarici, nessuno slogan ammiccante sul calcio champagne (o liquido) o sul "guardiolismo".

Anche negli ultimi due anni, tanti giocatori andavano e venivano, con alterne fortune, ma i quattro “carichi pesanti” spesi sul mercato venivano centrati tutti, chi prima e chi dopo: Lukaku, Barella,  Eriksen, Hakimi. Questi sono i pilastri del successo nerazzurro. Senza uno di questi, il castello barcolla. Senza un paio, il castello crolla. Complimenti dunque a Marotta e Conte. Si sono presi una bella soddisfazione e, senza dubbio, una grande rivincita nei confronti di Agnelli. L'allenatore, in particolare, andando all’Inter in un periodo in cui il gap fra nerazzurri e campioni d'Italia era notevole, si è (ri)messo in gioco rischiando molto, e alla fine ne è uscito vincente.

Che poi l'Inter del Comandante salentino sia più o meno bella da vedere lascia il tempo che trova. Conte è poco simpatico (eufemismo) perfino ai tifosi interisti, ma con lui in panchina difficilmente una squadra avrebbe incassato cinque gol in quarantacinque minuti (come è accaduto alla Roma nella disgraziata notte di Manchester). Questo perché Conte non è solo un grande allenatore, ma è un vincente. E come motivatore è favoloso. Certo, resta la pecca di un percorso europeo interrottosi (quest'anno) troppo presto e nella maniera più inattesa, ma oggi i tifosi nerazzurri possono capire che anche così può andare bene. Deve andare bene. Partita piano, considerato che la stagione scorsa era terminata dopo Ferragosto, l'Inter ha iniziato a carburare pian piano, cambiando marcia quando Conte si è finalmente reso conto che era inutile far sfiancare i giocatori in un continuo pressing alto (tipo Juve contiana); perciò ha abbassato il baricentro della squadra, ha poi abbandonato per sempre l’idea (sbagliata) di far giocare lo stanco Kolarov nei tre centrali, e pian piano ha aggiunto una serie di correttivi che hanno reso la squadra estremamente solida e compatta. A cominciare dal recupero di Eriksen.

Certo, in tanti dicono che l’Inter ha cambiato marcia da quando è uscita dalle coppe e si è potuta concentrare solo sul campionato: in realtà la svolta c'è stata a gennaio, mese in cui negli ultimi anni si entrava in letargo. Questa volta è stato tutto diverso, perché proprio dopo le feste di Natale l'Inter si è svegliata. E quando le coppe sono tornate, pure le altre squadre sono tutte uscite, alcune subito (Lazio, Juve, Atalanta), altre dopo poco (Milan), unica eccezione la Roma. Insomma, dire che l’Inter ha vinto perché scaraventata subito fuori dall'Europa non è proprio esatto, se il distacco dagli ex campioni d'Italia è diventato abissale non è dovuto al fatto che la Juventus abbia giocato due partite di Champions in più. In realtà l’eliminazione precoce e sanguinosa ha fatto scattare qualcosa nella mente dei giocatori che si sono resi conto di dover dare molto di più, e tutto questo si è visto in campo.

Prima o poi il ciclo juventino doveva finire, è successo. Per demeriti dei bianconeri, sicuro. Ma anche per le giuste strategie dei nerazzurri, capaci di programmare, lavorare, entusiasmare, dominare. Che sia l'inizio di un ciclo vincente lo capiremo fra qualche mese, di certo questo successo è figlio della crescita costante della squadra, dal punto di vista non solo tecnico ma anche di mentalità e di condivisione. "Chi gioca e chi è in panchina ed è stato meno coinvolto: con tutti abbiamo creato qualcosa di granitico - dice con orgoglio Conte -. Abbiamo capito l'importanza di fare qualcosa di straordinario entrando nella storia dell'Inter, siamo riusciti nell'impresa di far cadere un regno che durava da nove anni. Questi ragazzi meritano tutte le soddisfazioni". E ancora: "C'è stato un processo di crescita, con delle rinunce per riuscire a fare qualcosa di straordinario. Non tutti ce la fanno, io invece ho trovato un gruppo di ragazzi che hanno remato tutti insieme. Abbiamo condiviso un sogno, il voler fare qualcosa di importante entrando nella storia dell'Inter- chiude il tecnico salentino - Non è stato semplice entrare nel cuore di tutti gli interisti, ora non so se ci sono riuscito del tutto; però ho sempre dato tutto come ho fatto per ogni squadra. Questa volta mi sono messo in gioco in maniera importante...".