La storia di Pllumbaj: "Più forte della malattia. Mi davano del matto, adesso torno"

Il calciatore albanese, italiano d'adozione: "Nessuno riusciva a capire cosa avessi, mi dicevano di andare dallo psicologo. Ho la sindrome di Dunbar"

Ersid Pllumbaj in una delle ultime partite giocate con la maglia del Legnano

Ersid Pllumbaj in una delle ultime partite giocate con la maglia del Legnano

Novara - Lunedì festeggerà 32 anni ma per il regalo più bello è disposto ad aspettare qualche mese: una maglia con cui tornare in campo dopo due anni complicatissimi, fra paure, speranze, cadute e illusioni. La storia di Ersid Pllumbaj, albanese di Bajze Shkoder ma italiano d’adozione (vive a Novara con la sua compagna) è quella di un calciatore diletante dai piedi buoni che dal 2007 gira sui campi di provincia del nord Italia.

Dalle giovanili degli azzurri all’Ivrea, e poi tanta Lombardia con Bustese, Virtus Bergamo, Pro Patria, Crema e Legnano: 105 presenze, 55 gol realizzati con la ferocia e il fiuto del suo idolo di sempre, un certo Andriy Shevchenko. In realtà la carriera di Ersid è stata una corsa ad ostacoli: due anni fa i primi sintomi a Crema, una diagnosi che nessuno riesce a fare, la sensazione di essere considerato un “malato immaginario“. Poi la scoperta del problema (sindrome di Dunbar) e solo oggi, dopo un intervento chirurgico, il bomber sembra poter rivedere la luce.

L’incubo ha un lieto fine? "Spero di sì. Mi sono sempre detto: guarda sempre oltre ogni limite, oltre ogni pensiero... Ho sognato e lottato senza fermarmi mai. E forse oggi ce l’ho fatta. Ma è stato terribile: a Crema mi aveva voluto nel 2019 Alessio Tacchinardi per vincere la serie D. A fine agosto i primi strani sintomi, un formicolio al braccio sinistro. Una sensazione stranissima, l’avevo già provata in campo, col cuore che batteva lentamente. I controlli furono immediati, ma non mi fu riscontrato nulla. In realtà era solo l’inizio di un calvario. Perché ad ogni visita mi dicevano che non avevo nulla. E io stavo male...". Al punto da lasciare il Crema... "Si, quell’esperienza si chiuse l’11 dicembre 2019. Quattro mesi surreali dove mi successe di tutto, e di tutto sentii sul mio conto. I malori li avevo di continuo, al punto che non riuscìì a giocare neppure una partita. I compagni di squadra mi furono molto vicini in una situazione non facile. Ma io stavo male perché non accettavo di andare via da sconfitto senza aver potuto dimostrare il mio valore sul campo". Cominciò a quel punto il suo pellegrinaggio negli ospedali "Tante visite specialistiche, un solo responso: va tutto bene. Ad un certo punto sembrava che i medici non volessero credermi, addirittura per farmi rilassare e giocare mi davano gocce per dormire invitandomi a consultare uno psicologo. Cercai di riprendere: nel dicembre la chiamata del Legnano, una società molto ambiziosa. Era un bell’ambiente, giocai pure un’amichevole contro l’Inter. Avevo voglia di conquistare quei tifosi nonostante lo stop di 8 mesi. Ma purtroppo i problemi ricominciarono, non stavo bene e ad un certo punto ho dovuto mollare". Poi, finalmente, la svolta... "Una cena a Milano, nell’autunno 2020, un amico ha il papà medico e vado a fare l’ennesima visita. Ma questa volta c’è una diagnosi: sindrome di Dumbar. Mi dissero che era una malattia rara, avevo un’arteria otturata per metà e questa cosa mi crava spasmi e stanchezza. Dopo l’operazione spero davvero di poter tornare in campo... dipende da come mi sentirò, ma sono fiducioso. Le richieste da parte di squadre di serie D di tutta Italia non mancano..." Nei mesi senza calcio chi le ha dato la forza e il coraggio? "Dopo la parentesi a Legnano smisi anche di allenarmi perché non stavo bene ma questa esperienza mi ha aiutato tantissimo. Sono cresciuto molto, soprattutto ho capito cosa voglio in futuro: sicuramente tornare a giocare perché è la cosa che mi fa sentire vivo. E poi voglio costruire una famiglia. Sa, nel calcio penso di avere lasciato sempre ottimi ricordi e i messaggi ricevuti sono stati davvero tanti, a cominciare dal mister Maurizio Ganz che mi ha insegnato molto, ma ho tanti amici soprattutto fuori dal campo. Chi mi conosce sa quanto mi manca l’odore del prato verde, correre, lottare. E poi mi mancano le risate nello spogliatoio, l’attesa la sera prima della partita. Manca quell’attimo prima di vedere la palla che oltrepassa la riga della porta ed esultare..."