Dalla tuta blu al rettangolo verde, Gaetano Scirea signore del calcio di una volta

Oggi “Gae” compirebbe 70 anni. Cresciuto nell’Atalanta, divenne grande nella Juventus. In bianconero vinse tutto, con l’Italia trionfò al Mondiale 1982

Gaetano Scirea e Diego Maradona, due grandi del calcio scomparsi prematuramente

Gaetano Scirea e Diego Maradona, due grandi del calcio scomparsi prematuramente

Era il signore del calcio di una volta. Elegante, preciso, vincente. Mai espulso in una carriera da 688 partite ufficiali in 17 anni di carriera: con un Mondiale vinto nel 1982, poi con la sua Juventus sette scudetti e tutte le tre coppe europee di quegli anni (Coppa dei Campioni, Coppa delle Coppe e Coppa Uefa), oltre alla Coppa Intercontinentale e alla Supercoppa europea. Persino il Mundialito per club vinse in quegli anni…

Scomparso troppo presto

Oggi Gaetano Scirea avrebbe spento 70 candeline. Un destino maledetto e ingiusto lo ha portato via a metà del cammino, a 36 anni da poco compiuti, in un tragico incidente stradale il 3 settembre 1989, condannandolo ad una morte orribile.

Era in Polonia, da vice allenatore della Juventus, da vice di Dino Zoff, dove era andato a visionare una squadra locale, il Gornik Zabrze, avversario dei bianconeri nel primo turno di Coppa Uefa.

Una tragedia assurda

Allora non c’erano i filmati sul web e gli osservatori erano tali: andavano allo stadio e osservavano i giocatori di persona, dalla tribuna, prendendo appunti. Scirea era lì per quello, al ritorno, tornando in aeroporto a Varsavia, un banale tamponamento e l’incendio, assurdo, innescato da quattro taniche di benzina pigiate dall’autista polacco nel bagagliaio: morto intrappolato nel fuoco, con gli altri occupanti, lasciando un figlio piccolo (entrerà poi nello staff tecnico della Juventus da adulto), una giovane vedova e un dolore immenso, a propagarsi in tutto lo Stivale.

Dalla tuta blu al rettangolo verde

Una fine terribile, ingiusta, dopo una vita troppo breve, spesa quasi tutta sui campi da calcio. Milanese dell’hinterland, di Cernusco sul Naviglio, padre operaio emigrato dalla Sicilia, anche lui operaio da ragazzo in officina: tuta blu e grasso sulle mani al mattino, al pomeriggio gli allenamenti nelle giovanili dell’Atalanta dove approda nel 1967, a soli 14 anni. Piedi buoni, tecnica, visione di gioco: inizia da attaccante e segna valanghe di gol, ma crescendo la sua intelligenza tattica e la sua leadership lo obbligano ad arretrare, prima da centrocampista poi, 18enne, da difensore. Lo mettono dietro affiancandolo ad un coetaneo, un ruvido valligiano di Clusone, uno stopper robusto fisicamente: Antonio Percassi. Esordiscono insieme nella Dea in serie A, nel 1972, poi la stagione successiva fanno coppia in B: il ventenne Scirea gioca sempre, tutte le 38 gare di campionato, e incanta. Curiosamente il futuro libero azzurro lavora ancora da operaio, almeno nei primi mesi, facendo la spola tra Bergamo e la cintura milanese: smette la tuta blu solo quando è certo di poter campare correndo dietro ad un pallone, su un rettangolo verde, quando è già 19enne. La svolta arriva a soli 21 anni, nell’estate 1974. La Juventus di Gianni Agnelli, diretta da Gian Piero Boniperti (per lui stravederà, persino più che per Platini), che già allora aveva un canale diretto con la Dea, lo acquista per 700 milioni, una cifra per i tempi clamorosa. Scirea diventa un pilastro difensivo della Juventus di Giovanni Trapattoni, l’allenatore cui legherà la sua carriera insieme al ct azzurro Enzo Bearzot, l’altro suo mister. Per una storia parallela che si snoda in un decennio dorato e clamoroso: la maglia bianconera con cui vince 7 scudetti in 12 anni tra il 1974 e il 1986, con le tre coppe europee (unico insieme ad Antonio Cabrini), e la maglia azzurra con cui disputa tre Mondiali, con il trionfo azzurro in Spagna nel 1982 e i rimpianti della semifinale in Argentina nel 1978 persa contro l’Olanda. Mai capitano, tranne nel finale: davanti a lui fino al 1983 c’è l’amico Dino Zoff, capitano bianconero e azzurro. Dal 1983, dopo il ritiro del portiere friulano, entrambe le fasce passano a Scirea, leader difensivo di un gruppo mitologico con il duro Gentile e l’elegante Cabrini. Leader vero: Scirea era il libero di quel calcio di una volta, che impostava, saliva, svariava, faceva da registra arretrato. Due soli paragoni possibili: con il coetaneo e rivale tedesco Franz Beckenbauer e poi con l’erede (in azzurro) Franco Baresi, peraltro sua riserva nell’Italia del Mundial 1982. Talento e intelligenza, ma anche stile e correttezza, questo era Scirea: 688 partite senza mai un’espulsione, 17 anni senza mai una polemica o un’intervista sopra le righe. Capitano ‘in seconda’ in campo e nello spogliatoio, voce autorevole anche con compagni del calibro di Paolo Rossi, Bettega, Tardelli, Platini o Boniek. Era il modello perfetto, in campo e fuori, da indicare ai ragazzini che negli anni ‘ottanta volevano giocare a calcio: se quel maledetto destino non lo avesse portato via sarebbe stato un modello per le generazioni future. Probabilmente sarebbe diventato un grandissimo tecnico: stava già bruciando le tappe, a 35 anni vice di Zoff alla Juve, dopo aver detto no ad una panchina in serie B alla Reggina. Con il senno di poi forse avrebbe allenato la Signora già l’anno successivo… La Juventus era la sua famiglia, la sua casa: 552 partite in bianconero dal 1974 al 1988, recordman bianconero fino all’arrivo delle nuove generazioni, superato da Buffon, Del Piero e Chiellini in un calcio dove però si giocavano mediamente 15-18 partite in più ogni anno. Tre sole maglie in carriera: quella iniziale della Dea, quella juventina e quella azzurra per 78 volte. Rare le insufficienze in pagelle, anche di mostri sacri del giornalismo sportivo come Gianni Brera (suo grande estimatore), ancora più rari i fischi o gli insulti da parte dei tifosi avversari: Scirea era il libero di tutti, di tutto un Paese che lo ha pianto in quel settembre 1989 e lo ha rimpianto negli anni successivi, senza mai dimenticarlo.  

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