Il paradosso di Gianni Bugno: "Del mio passato non ho neanche una maglia"

Il campione si racconta in “Per non cadere, la mia vita in equilibrio“. E boccia le corsie per bici di Milano

Gianni Bugno

Gianni Bugno

Trovate questo articolo all'interno della newsletter "Buongiorno Milano". Ogni giorno alle ore 7, dal lunedì al venerdì, gli iscritti alla community del «Giorno» riceveranno una newsletter dedicata alla città di Milano. Per la prima volta i lettori potranno scegliere un prodotto completo, che offre un’informazione dettagliata, arricchita da tanti contenuti personalizzati: oltre alle notizie locali, una guida sempre aggiornata per vivere in maniera nuova la propria città, consigli di lettura e molto altro. www.ilgiorno.it/buongiornomilano

Dalla cameretta della casa di famiglia a Monza, dove ha trascorso ore sui libri di matematica e latino, fino all’Alpe d’Huez, la strada è lunga. E Gianni Bugno, oggi 57enne, quella strada l’ha percorsa tutta. Salite e discese, rettilinei e tornanti. Ribellandosi all’idea "che se vinci sei un genio, se perdi un pirla...". Ora Bugno ha scritto la sua autobiografia, “Per non cadere, la mia vita in equilibrio”. Dalla sua nuova vita da elicotterista, getta uno sguardo sul passato. Senza sconti a se stesso. Bugno, lei confida di aver sempre odiato le cerimonie di premiazione, tutti quei fiori, le parole. «Meglio una pacca sulla spalla, e via...», scrive. Sembra venire da un altro mondo, rispetto a questi tempi di ricerca spasmodica dei riflettori. "Ma io ho imparato a vincere imparando a perdere. Le bastonate, nella vita e nella corsa, mi sono servite per migliorare. Nessuno nasce “imparato”. E le vittorie per me sono tutte importanti, da quelle da juniores fino al Giro. Cambia solo il contesto. Il resto, conta poco". Tanti dicono che avrebbe potuto vincere molto di più. Ha rimpianti per la sua carriera? "Zero. Non vivo di ricordi, penso solo al presente. Mi rimane la soddisfazione vissuta nel momento della vittoria. Basta". Tanto che non ha conservato niente del suo glorioso passato sportivo. "Né una maglia, né coppe o memorabilia. Tutto regalato". Le piace il ciclismo di oggi schiavo della programmazione e dei computer rispetto alla sua era più “romantica”? "Il ciclismo di oggi, come tutti i settori, deve adattarsi alle nuove tecnologie. È uno sport più preparato rispetto ai nostri tempi, dove si inventava molto. Non è meglio o peggio, è diverso". Come ha vissuto il lockdown? "Come tutti, con l’ansia di star chiusi in casa, i dubbi sul futuro, questa confusione creata dal cambiamento di informazioni ogni giorno. Ma ho continuato a lavorare". E adesso? "Ora siamo in un limbo. Speriamo solo che l’umanità abbia imparato la lezione. Questo stop ha permesso alla natura di respirare. Bisogna lavorare a innovazioni per lavorare sì, ma nel rispetto dell’ambiente". Torniamo allo sport: chi vince il Giro d’Italia? "Favorito Egan Bernal, che ha già vinto il Tour de France (2019), se sta bene". E il nostro Vincenzo Nibali? "Può dir la sua, è un campione, se recupera dall’infortunio..." C’è un atleta nel quale si rivede? Quali sono i suoi campioni preferiti? "Non mi rivedo in nessuno, non c’è un Bugno, ma mi piacciono Nibali e Valverde, sono i più continui e costanti. Tra i giovani, è molto forte Roglic". Apriamo il fronte delle piste ciclabili, che spaccano l’opinione pubblica soprattutto a Milano. Da ciclista cosa ne pensa? "Ogni volta che vedo quelle di Milano, soprattutto in corso Buenos Aires, mi metto le mani nei capelli: ma come si fa? Si creano problemi a ciclisti, motociclisti e pedoni, oltre che ingorghi per gli automobilisti. Certo, poi c’è gente che prende l’auto perfino per andare in palestra, roba da matti... D’altronde, la nostra è una economia costruita sulle 4 ruote, siamo governati così da sempre. Difficile far cambiare mentalità alla gente, ma bisogna provarci. Certo, le soluzioni non sono le ciclabili come quelle fatte a Milano o certe strade divise in due tronconi con i divisori in mezzo alla carreggiata. Paralizzano solo il traffico, creando pericoli a tutti, costa farle e poi garantire manutenzione. Poi vedi monopattini sfrecciare a 25 km/h tra la gente...". Allora la soluzione qual è? "Il rispetto dell’automobilista per il ciclista come per il pedone. Creare percorsi larghi un metro, tracciando una linea continua, solo e soltanto per chi va in bici. E a chi invade la ciclabile con auto o furgone o ci parcheggia, patente ritirata".