Tutto è cominciato con Fabri Fibra. "Fabri rappresenta per la generazione 2k il vero cambiamento, l’artista che ha immediatamente fatto sembrare molti colleghi dei vecchietti che producevano canzoni per anziani" ricordava Pico Cibelli in “Rap”, storia dell’urban italiano (con una forte impronta autobiografica) dato alle stampe sei anni fa da Paola Zukar. Al tempo di “Tradimento”, l’album che ha imposto Fibra all’attenzione generale, Cibelli era un giovane A&R del gruppo Universal con ufficio adiacente proprio a quello della Zukar; oggi lui è presidente di Warner Music Italia e Paola la più potente donna-manager dell’hip-hop italiano. "Fabri è il nostro Elvis, che quando uscì fece sembrare i grandi cantanti dell’epoca dei nonnetti, il Battisti dei nostri tempi, che quando arrivò sulle scene mandò in pensione colossi della musica come Villa e Little Tony, solo per citarne alcuni… in poche parole, Fabri ha portato alla musica italiana una boccata di aria fresca". Attorno alla metà degli anni Duemila il terremoto Fibra ha spianato la strada ad una stagione caratterizzata dalla crescente presa degli MC sul mercato del disco con conseguente apertura delle multinazionali ai loro mondi, completando il lavoro iniziato nei Novanta da gente come Articolo 31, Neffa o Frankie Hi-Nrg. "Rappo da prima dei social Da prima di Twitter Da prima che ci fossi tu su YouTube" rivendicava infatti in “Red Carpet” quando era ormai diventato, da un pezzo, mainstream. "Il rap ha conquistato le classifiche perché, da quando sono arrivati lo streaming, i social e la digitalizzazione del mercato, il pubblico che già lo premiava ha consolidato coi numeri questa sua scelta" spiega Fabri-Fabrizio (Tarducci). "Mentre prima i media e l’industria sostenevano il pop, oggi privilegiano il rap non perché gli piaccia, ma perché è il genere musicale che li fa guadagnare di più. Ma i ragazzi avevano già scelto vent’anni fa di ascoltare il rap italiano perché sempre stato, nel bene e nel male, un genere musicale vero, in cui si ritrovano. Ci sono rapper che dicono sempre le stesse cose, ma questo accade pure nel pop. Molti artisti seguono il cliché del rap americano fatto di macchinone, locali, ostentazione della ricchezza, io però nella mia scrittura cerco sempre di dare autenticità al rap italiano con un suono il più ‘nostro’ possibile, trattando argomenti che riguardano questo Paese". Un nuovo stato di cose avallato pure dalla Targa Tenco per il miglio album del 2022 a “Noi, loro, gli altri” di Marracash. "Uno schiaffo ai pregiudizi" lo definisce lui, al secolo Fabio Bartolo Rizzo, 43 anni. "Il più grosso di tutti è che il rap sia un genere per ragazzini, vuoto e materialista. Vero che molti musicisti fanno intrattenimento, ma ce n’è pure una parte che fa arte. L’artista veicola emozioni, ma anche messaggi culturali che, nel momento in cui vengono a mancare, creano un vuoto nella vita delle persone".
Andrea Spinelli