Regionali Lombardia, Maran (Pd): "Candidati credibili? Solo con le primarie"

Le parole di Pierfrancesco Maran, assessore milanese del Partito Democratico

L’assessore milanese Pierfrancesco Maran

L’assessore milanese Pierfrancesco Maran

Milano - Pierfrancesco Maran, assessore milanese del Pd, non crede che le primarie per il candidato alla presidenza della Regione, che lei oggi chiederà insieme ad altri autoconvocati davanti alla Fondazione Feltrinelli, possano rimotivare e mobilitare il popolo del centrosinistra solo se a giocarsele sono candidati di spessore che, però, ad oggi non si intravedono all’orizzonte?

"Concordo in pieno: le primarie sono una condizione necessaria ma non sufficiente per mobilitare l’elettorato e hanno senso se sono fatte vivere da candidati con profili e programmi diversi e capaci di coinvolgere i cittadini. Ma finché non le convochiamo, finché non ricreiamo l’idea di uno schieramento aperto, questi profili non usciranno allo scoperto: se il criterio per essere candidati è quello della nomina da parte delle segreterie, allora preferiranno stare sotto copertura. Il consenso della base deve essere più importante di quello delle segreterie".

Ma lei vede candidati capaci di rendere interessante e promettente una consultazione interna? E se sì, chi?

"Fosse stato per le segreterie di partito, Giuliano Pisapia non sarebbe mai stato candidato a sindaco. E forse il centrosinistra non avrebbe conquistato Milano già nel 2011. Lo stesso vale per Matteo Renzi. O per Giuseppe Sala: 7 anni fa un manager come lui avrebbe potuto rifiutarsi di passare dalle primarie, invece le ha affrontate e ne è uscito rafforzato. Parliamo di tre momenti che hanno innovato lo scenario politico. Il bello delle primarie e delle campagne elettorali è che le persone giuste le scopri strada facendo. Quelli di Carlo Cottarelli, Stefania Bonaldi, Fabio Pizzul e gli altri che si fanno in queste settimane, sono tutti nomi validi come candidati ma devono avere la possibilità di costruire un legame con i lombardi per poter affrontare una sfida epocale come la conquista della Regione. Se si avvia un percorso dal basso possono diventare rappresentativi. Con le nomine dall’alto è più difficile".

Mi sembra che la sua battaglia vada al di là delle Regionali: vuole porsi come rinnovatore del Pd su scala nazionale?

"Le Regionali rappresentano l’occasione per virare verso un modo più inclusivo di fare politica e aprire un sistema che si sta chiudendo su se stesso. È chiaro che questo processo deve iniziare con le Regionali ma non può finire con esse. A me fa rabbia che dopo il 25 settembre non si sia deciso di fare nulla per cambiare".

È stato convocato un congresso.

"Non servirà ad innescare una ripartenza se lo si farà con spirito ritualista".

Ambisce a correre le primarie per le Regionali o a un ruolo nazionale nel Pd?

"Ambisco a che si facciano le primarie in Lombardia e a dare energia in un momento in cui le opposizioni si guardano all’interno. I partiti devono aprirsi, essere ricettivi alle istanze dei movimenti civici, di chi ci vota solo come male minore o non vota . Oggi la regione più dinamica è governata da Attilio Fontana, un signore di una certa età che non ha una visione sul futuro della Lombardia. Alla Lega finora è bastato, ma la congiuntura è diversa: c’è stata una pandemia, c’è una crisi energetica, una realtà complessa da leggere. Servono forze fresche".

Quali alleati alle Regionali?

"Con Verdi, Sinistra, Azione e Italia Viva governiamo insieme in più città lombarde. Prima troviamo una consonanza con i compagni di viaggio coi quali condividiamo l’onere di governare, poi valutiamo eventuali altre aperture".

Il Terzo Polo per il Pd, elettoralmente, è una minaccia o un complemento?

"Pensiamo a stare uniti e ottenere più voti della destra: avere 2 punti in più come partito non serve se perdi le elezioni".