Di Battista: "Mi faccio da parte". Rottura con i Cinque Stelle, e fantasma scissione

Il sì della piattaforma Rousseau al Governo Draghi fa traboccare il vaso. "E' stata una bellissima storia d'amore". Ma non sbarra la porta sul futuro: "Un domani vedremo"

Alessandro Di Battista

Alessandro Di Battista

Roma, 11 febbraio 2021 - E' la "fine "di una bellissima storia d'amore". Alessandro Di Battista, uno dei nomi di punta nel Movimento 5 Stelle, di certo uno dei più noti dall'inizio della cavalcata politica del Movimento, dice addio ai grillini (o forse arrivederci) dopo il sì al Governo Draghi uscito dalla piattaforma Rousseau, che "non posso digerire". L'annuncio - che era nell'aria -  scuote la serata che doveva consacrare la nascita del nuovo governo formato dall'ex capo della Bce con l'ingresso dei pentastellati, la forza che ha la maggioranza nel Parlamento italiano. Una scelta osteggiata in questi giorni con forza da Di Battista: impossibile stare al governo con Berlusconi, tanto per cominciare. Ma non solo.  "Accetto la votazione ma non posso digerirla. Da tempo non sono d'accordo con le decisioni del Movimento 5 Stelle e ora non posso che farmi da parte", spiega il leader dei "duri e puri" del Movimento su Facebook.

 "E' stata una bellissima storia d'amore, con gioie e battaglie vinte, ma anche diverse delusioni e qualche battaglia disattesa o persa. Io, con tutto l'impegno del mondo, non posso non considerare determinate mie convinzioni politiche. Poi magari mi sbaglierò su questo governo, ma non posso proprio andare contro la mia coscienza", aggiunge dicendo che non parlerà più  "a nome del M5S anche perché il M5s in questo momento non parla a nome mio". 

L'omaggio a Grillo

Non manca un omaggio al fondatore. "Grazie a Beppe Grillo, è lui che mi ha insegnato a prendere posizione, anche controcorrente. E io oggi non ce la faccio proprio ad accettare un Movimento che governa con questi partiti, anche - per l'amor di Dio - con le migliori intenzioni del mondo". Ma la porta è chiusa, non sbarrata. "Se poi un domani la mia strada dovesse incrociarsi di nuovo con quella del M5S, vedremo. Dipenderà esclusivamente da idee politiche, atteggiamenti e prese di posizione. Non da candidature e possibili ruoli". 

Nel giorno che registra dunque il trionfo della piattaforma 5 Stelle per la messa in pratica della democrazia diretta, e nelle ore in cui si conferma ancora una volta la centralità di Beppe Grillo nel cosmo pentastellato, il fantasma della scissione torna ad affacciarsi con prepotenza sul cielo del Movimento. E non si tratta delle solite scaramucce parlamentari tra governisti e ortodossi, tra dissidenti e malpancisti. Questa volta la frattura è salita davvero fino ai vertici del Movimento, segnando una spaccatura tra Grillo e Casaleggio che non si era mai vista. E che solo a forza di dichiarazioni volte a gettare acqua sul fuoco, a fine giornata, i vertici del M5S sono riusciti a sopire. Ma non abbastanza da convincere il ribelle Di Battista.

Il fantasma della rottura 

Un addio che appare tra l’altro foriero di una rottura definitiva tra vertici e ortodossi, anche e soprattutto in vista del voto di fiducia al governo Draghi. E dire che il fondatore del Movimento ha provato fino all’ultimo a tenere tutti insieme. Ha trattato in prima persona le condizioni per la partecipazione del Movimento al governo, inserendo molte delle condizioni di programma richieste da Di Battista e dai suoi seguaci. Ha assecondato le richieste di Casaleggio e provato a mediare con i parlamentari che da mesi chiedono una separazione decisa tra la forza politica e la piattaforma Rousseau, gestita da un’associazione presieduta da un imprenditore privato. 

 Ma la dichiarazione di Casaleggio sulla possibilità di ritestare un eventuale “No“ degli iscritti, valutando anche la possibilità dell’astensione, è stato un segnale che ha fatto la differenza. È la posizione portata avanti da Di Battista e da Barbara Lezzi che non solo si sono schierati per il No ma avevano lanciato proprio la proposta dell’astensione come via d’uscita per provare a tenere insieme il Movimento. Non a caso l’uscita di Casaleggio ha portato ad un’immediata smentita del capo politico, Vito Crimi: nessuna altra votazione sarebbe seguita ad un eventuale No della base. Uno stop deciso a Di Battista e a Casaleggio. Da non sottovalutare la presa di distanza del presidente di Rousseau sulla modalità con cui è stato formulato il contestatissimo quesito (13 parlamentari lo hanno definito «mistificante»): «è stato lui» si è infatti premurato di precisare Casaleggio Jr, puntando l’indice contro il capo politico M5s. 

La battaglia tra i vertici e Casaleggio

Sullo sfondo c’è la battaglia, durissima, tra gli eletti e il figlio del fondatore sulla gestione della piattaforma. Che, invece, si sta riprendendo sempre più spazio. Non solo la maggior parte dei post pubblicati sul blog delle Stelle vede ormai quasi unicamente la firma di Rousseau, ma è proprio la piattaforma che in queste settimane si sta dando da fare per riorganizzare i territori, federare gli attivisti, organizzarli in sedi digitali. Un lavoro capillare che il M5s ha da tempo lasciato da parte. Ma che potrebbe essere la chiave per la rifondazione di un nuovo movimento ispirato da Di Battista. La spaccatura è inoltre sempre più evidente in Parlamento.

La pattuglia di «dissidenti» dall’ala governativa, è ormai uscita palesemente allo scoperto e si conta. Guardano a Dibba, a Barbara Lezzi, a Danilo Toninelli, alcuni annunciano senza timori che voteranno No alla fiducia a Draghi. Addirittura c’è stato chi, ad urne ancora aperte, profetizzava una possibile scissione al contrario, quella dei «governisti» in caso di vittoria dei No. Forse, della cinquantina circa di «dissidenti» solo in pochi arriveranno a non votare la fiducia, avendo dichiarato di voler rispettare la volontà degli iscritti. Ma l’addio di Dibba al Movimento, potrebbe di nuovo cambiare le carte in tavola.