Pavia è senza Torre da 30 anni, Sgarbi: "I soldi per ricostruire c'erano ma..."

Il 17 marzo 1989 il simbolo della città collassò su se stesso causando quattro morti. I progetti di recupero mai andati in porto

A passeggio tra i ruderi della Torre civica

A passeggio tra i ruderi della Torre civica

Pavia, 17 marzo 2019 -  Esattamente 30 anni fa, alle 8,55 la Torre civica di Pavia improvvisamente crolla su se stessa, sgretolando 8.000 metri cubi di mattoni, sabbia e granito. Un disastro che ha cambiato lo skyline di Pavia e aperto una ferita che non si è ancora rimarginata. Da quel 17 marzo, infatti, ogni anno vengono ricordate le quattro vittime: l’edicolante di piazza Duomo Giuseppina Pia Comaschi, l’albergatore Giulio Fontana, due ragazze di San Genesio, si chiamavano Adriana Uggetti, 18 anni, e Barbara Cassani, 17 anni. Accadrà anche alle 11 di oggi con una messa che il vescovo Corrado Sanguineti celebrerà in duomo e, alle 11,45, con la deposizione di una corona da parte del sindaco Massimo Depaoli.

La cerimonia si svolgerà davanti al moncone. Perché nulla, da allora, di fatto è cambiato. Mentre Vittorio Sgarbi avrebbe voluto che il simbolo della città edificato nel XI secolo e alto 78 metri venisse ricostruito. Il 20 ottobre 1994, durante la XII legislatura della Camera dei Deputati, il critico d’arte aveva presentato una proposta di legge per la ricostruzione della Torre civica. Il progetto, osteggiato da un gruppo di intellettuali pavesi, però non è mai andato in porto. A vent’anni dal giorno del crollo, Sgarbi era tornato alla carica e aveva lanciato un appello all’allora presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, per chiedere ancora di restituire a Pavia la struttura. Nel 2014, invece, è stato inaugurato il memoriale in ricordo delle vittime: una vasca di acqua inserita all’interno dei ruderi e specchi con giochi di luce. Protetto da cristalli, il memoriale pochi anni fa è stato rovinato da alcuni bambini ed è di nuovo cambiato. Ora all’interno delle mura ci sono i resti della torre e della ghiaia.

«Avevo presentato una proposta di legge - dice Vittorio Sgarbi - indicando l’indirizzo storico artistico e il valore architettonico della Torre civica, ma una parte della città, guidata da Rossana Bossaglia, ha ritenuto che fosse meglio non ricostruirla». Vittorio Sgarbi ricorda così quella che da più persone oggi viene definita un’occasione persa per Pavia.

All’epoca i riflettori erano tutti puntati su Pavia, ma c’erano anche i soldi per effettuare la ricostruzione?

«Sì. Avevo trovato io 10 miliardi di lire. Sollecitato da un deputato pavese della Lega in pochi minuti ero riuscito ad ottenere dal governo un finanziamento. Era proprio quello che serviva per la ricostruzione. Sembravano tutti d’accordo, poi qualcuno disse che si sarebbe trattato di un falso. Peccato».

Ci sono altri «falsi« in giro per il nostro Paese.

«Certo, il teatro alla Scala, il campanile di San Marco a Venezia, il teatro Petruzzelli di Bari. Sono tutti falsi secondo questa teoria. Evidentemente è una logica molto comune nel mondo».

Anche Pavia ha già delle opere ricostruite dopo la distruzione degli originali.

«Indubbiamente. Lo stesso ponte coperto, che oggi è un simbolo della città, non è quello originale. Per questo motivo è ridicolo che non si potesse ricostruire la torre».

Lei conosceva la storica dell’arte e docente universitaria Rossana Bossaglia?

«Sì era una mia amica. Poi abbiamo litigato».

Il casus belli è stata la mancata ricostruzione delle Torre civica di Pavia?

«No, abbiamo litigato per un concorso universitario, non per Pavia».

Dopo la proposta di legge che aveva presentato, lei a 20 anni dal crollo è tornato alla carica con l’allora presidente del Consiglio Berlusconi per chiedere che si facesse qualcosa per la torre di Pavia. Adesso che siamo nel 30° anniversario non vuole di nuovo accendere i riflettori su piazza Duomo?

«Dieci anni fa mi sembrava assurdo che dopo tanto tempo non si fosse mosso nulla. Adesso che mi sollecita lei, potrei anche tornare a parlare della Torre. Devo ammettere però che non è il mio primo pensiero oggi, e forse non lo è neanche per Pavia. Si potrebbe comunque valutare se non sia cambiato il gusto e se oggi non sia poi così implausibile ricostruire la Torre».

Ma adesso sarebbe più difficile trovare i fondi.

«Mi spiace che allora ci fossero e andarono persi perché non vennero utilizzati».

Lei è legato a Pavia.

«Io sono stato il miglior amico che Pavia potesse avere. Chi nasce lì, però dovrebbe essere un miglior tutore dei beni architettonici che possiede. Pavia ha perso il suo simbolo».

Quindi ora l’ipotesi di una ricostruzione è svanita.

«Si può fare altro con Pavia. In collaborazione con la Sicilia e l’assessore ai Beni culturali Sebastiano Tusa morto nel disastro aereo del volo Ethiopian airlines diretto a Nairobi, stavamo organizzando una mostra su Vincenzo degli Azani, un pittore nato a Pavia e morto a Palermo, molto bravo e amico di Raffaello che lo ha molto influenzato. Pochi lo conoscono, volevamo farlo riscoprire».